CASSAZIONE PENALE – Sez. III
– 17 gennaio 2013 n. 2328 – Pres. Franco – Est. Amoroso – (Conferma
Corte d’Appello di Milano, 4 maggio 2012)
Delitti contro la famiglia –
Maltrattamenti – Separazione coniugi – Elemento oggettivo – Rapporto familiare
– Sussistenza.
La sussistenza del reato di cui
all’art. 572 c.p. non viene meno quando le condotte delittuose riconducibili allo stesso
articolo avvengano in regime di separazione; pertanto i
maltrattamenti in famiglia sono rinvenibili anche in evenienze nelle quali sia
cessata la convivenza, poiché il regime di separazione lascia intatti i doveri
di rispetto reciproco, assistenza morale e materiale e solidarietà, tutti
scaturenti dal rapporto matrimoniale. (Nello specifico, il giudice di legittimità ha rigettato l’eccezione
della difesa, la quale riconduceva all’art. 612-bis c.p. e non all’art. 572 c.p. determinate condotte moleste e
vessatorie, prospettando la cessazione del rapporto “familiare” per intervenuta
separazione personale).
LA
PLURIFORME “FAMIGLIA” NEL DELITTO DI MALTRATTAMENTI
(Francesco Sollazzo)
La sentenza in
esame si colloca lungo quel filone giurisprudenziale ormai consolidatosi in
seno alla Suprema Corte, volto ad estendere l’ambito oggettivo di applicabilità del
reato di cui all’art. 572 c.p., operando una sorta di continuo restyling del concetto di “famiglia”,
adeguandolo certosinamente alle esigenze del divenire temporale.
La
configurazione delle condotte vilipendiose del contesto familiare, e
segnatamente nei rapporti personali tra partners,
sin dagli anni 80’
annovera ambiti non severamente caratterizzati da un legame di coniugio, sia
esso civile ovvero religioso. In questo senso, ai fini di cui all’art. 572
c.p., è racchiudibile tout court “ogni contesto di persone tra le quali
intercorra un legame di relazioni continuative e di consuetudine di vita affini
a quello di una normale famiglia legittima” (Cass. Pen., sez. VI, 18 mag.
1990, n. 7073, Nesti; id. Cass. Pen,
sez. III, 13 nov. 1985, n. 1691, Spanu; Cass. Pen., sez. VI, 7 dic. 1979, n. 4084,
Segre).
All’ampio genus del concetto di famiglia così
delineato, tale da ricomprendere molteplici varianti di rapporti relazionali,
accomunati dal denominatore comune della discendenza di obblighi reciproci e
solidali, soprattutto se in presenza di figli, sono riscontrabili in primo
luogo nell’ambito delle convivenze more
uxorio, le quali, a prescindere da una predefinita durata, siano state
istituite “in una prospettiva di
stabilità” (Cass. Pen., sez. III, 5 dic. 2005, n. 44262) derivante da “strette relazioni e consuetudini di vita”
(Cass. Pen., sez. VI, 29 gen. 2008, n. 20647). A questo filone sono accomunabili
tutte le relazioni interpersonali appartenenti alla cd. “famiglie di fatto”,
nonché ai legami sentimentali tra fidanzati (Cass. Pen., sez. V, 30 giu. 2010,
n. 24688), fino a considerare sodali del gruppo familiare anche soggetti
estranei a rapporti amorosi, ma legati da vincoli parentali, sempre che dagli
stessi derivino gli obblighi assistenziali e di solidarietà (Cass. Pen., sez.
IV, 3 lug. 1990, n. 1067).
La concezione
marcatamente latu sensu di famiglia
si rappresenta ancor di più nella sentenza in commento, allorquando, avallando
l’orientamento consolidatosi, i maltrattamenti sono altresì annoverabili al
reato ex art. 572 c.p. “quando la convivenza
sia cessata e quindi anche dopo la separazione dei coniugi,[il cui regime
giuridico] lascia integro il dovere di
rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale, di solidarietà nascenti
dal rapporto coniugale”. Preso atto di come gli ermellini conservino la
concezione familiare anche in presenza di regime di separazione personale,
legale o di fatto, resta da chiedersi quando cessi allora tale relazione
affettiva, in altre parole: quando non si può più parlare di famiglia
nell’accezione di cui all’art. 572 c.p.?
La risposta a
tale quesito può ben scorgersi in una recente sentenza di legittimità (Cass.
Pen., sez. VI, 24 nov. 2011, n. 24575), ove i giudici romani hanno in qualche
maniera trattato il punto tra le righe, nell’ambito della delineazione dei
giusti confini tra due fattispecie particolarmente contigue: i maltrattamenti
in famiglia ed il reato di stalking ex
art. 612-bis c.p. A differenza di
quest’ultima fattispecie delittuosa, attuabile da “chiunque” giacché “non presuppone l’esistenza di interrelazioni
soggettive specifiche”, il reato di maltrattamenti in famiglia è un reato
proprio, per cui “specularmente può esser
commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni
familiari o assimilate”. Il provvedimento decisorio in tal senso sembra
categorico nello statuire che, laddove vi è famiglia non può prospettarsi la
fattispecie di stalking, e viceversa,
riservandosi tuttavia la possibilità eventuale di “un concorso apparente di norme [in specie tra il co.2 dell’art. 612-bis c.p. e l’art. 572 c.p.] che renda applicabili (concorrenti) entrambi
i reati di maltrattamenti ed atti persecutori”. In particolare, il discrimen di là dal quale non si può più
parlare di maltrattamenti in famiglia, coincide con la stessa cessazione del
vincolo “familiare” nell’ambito del quale si pongono in essere le condotte
delittuose, vale a dire nei casi di “divorzio
o di “relazione affettiva” definitivamente cessata ”.
In definitiva la
concezione di famiglia nell’ambito delle pronunce giurisprudenziali di
legittimità trapassa i confini del coniugio in senso stretto, abbracciando una
multiforme varietà di connubi affettivi, che vanno dalla semplice relazione parentale
se derivano obblighi di assistenza e solidarietà, alle relazioni sentimentali
ed alle cd. “famiglie di fatto”, giungendo sino a ricomprendere i rapporti
giuridici di separazione legale o di fatto. La portata concettuale della
definizione si arresta però innanzi alla cessazione del vincolo coniugale in
presenza di un provvedimento di divorzio, ovvero quando la relazione affettiva
e continuativa cessi definitivamente.
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