di Fabiola Castellano.
La
distinzione tra il dolo eventuale e la colpa cosciente (o con previsione dell’evento)
di cui all’articolo 61 n. 3 c.p., è da sempre una delle principali tematiche ad
aver generato contrasti sia in dottrina che in giurisprudenza, le quali
costantemente dibattono al fine di elaborare un accettabile e condivisibile
criterio di differenziazione, atteso il labile confine esistente tra i due
istituti.
Le
due figure rientrano nell’ambito dell’elemento soggettivo del reato, che può
assumere le forme del dolo e della colpa.
Ciò
premesso, il dolo eventuale costituisce la forma più lieve del dolo. Esso viene
in rilievo tutte le volte in cui il soggetto agente realizza un fatto tipico
che, tuttavia, non costituisce l’obiettivo della condotta né una conseguenza
certa o altamente probabile, ma egli lo prevede come possibile e accessoria
conseguenza della condotta principale, e agisce accettando il rischio che possa
verificarsi.
Viceversa,
nella colpa cosciente, la quale rappresenta, invece, la forma più grave della
colpa, l’agente, che ugualmente si profila la possibilità del verificarsi dell’evento,
agisce con la sicura convinzione che esso non si verificherà.
Secondo
la dottrina tradizionale (Antolisei) la colpa cosciente ricorre quando l’agente
ha previsto l’evento antigiuridico ma non lo ha voluto, perché sorretto dalla “fiducia”
che esso non si sarebbe verificato.
Altra
dottrina (Bettiol) ritiene, invece, che la colpa cosciente sia caratterizzata
dalla “speranza” che l’evento previsto non si verifichi. Altri ancora
(Delitala) ritengono, infine, necessaria la convinzione dell’agente che
l’evento, malgrado la previsione, non si verificherà.
Il
dolo eventuale e la colpa cosciente hanno, indubbiamente, diversi elementi
comuni: in entrambi, la condotta è diretta a realizzare altri scopi e determina
anche il verificarsi di un accadimento o di un evento che non è direttamente
preso di mira, ma che è previsto come conseguenza accessoria della condotta
principale. In tutti e due i casi, il soggetto agisce prevedendo come probabile
o possibile il verificarsi di un evento non direttamente preso di mira.
Accertata
l’esistenza di elementi comuni, il problema si pone, invece, con riferimento,
al criterio distintivo tra i due istituti.
Tra
le diverse tipologie di criteri elaborati da dottrina e giurisprudenza, ad oggi
sembra riscuotere maggiore successo quello dell’accettazione del rischio.
Secondo
il suddetto criterio, il dolo eventuale presuppone la rappresentazione della concreta
possibilità di verificazione dell’evento e, nonostante ciò, la decisione di agire
accettando il rischio concreto di provocare quel determinato evento.
La
colpa cosciente, viceversa, viene in rilievo tutte le volte in cui il soggetto
agente si rappresenta l’astratta possibilità dell’evento lesivo, ma confida con
certezza nel fatto che esso non si concretizzerà, sicché non accetta il rischio
del suo verificarsi. In altri termini, le sue componenti sono la
rappresentazione dell’evento e la contestuale certezza di essere comunque in
grado di dominarlo e di evitarlo.
Al
criterio dell’accettazione del rischio si è giunti attraverso un percorso
evolutivo e di analisi del comportamento e della volontà del soggetto agente
che ha preso le mosse dalla ormai nota “Formula di Frank”.
Secondo
tale formula, se dall’esame del carattere del reo e, soprattutto, dalle
modalità dell’azione risulta che l’autore dell’illecito avrebbe agito
ugualmente anche se avesse previsto l’evento lesivo come necessariamente
connesso alla sua azione, allora sussisterà il dolo eventuale. Viceversa,
qualora nella medesima ipotesi il reo si sarebbe astenuto dall’agire, si avrà
la colpa cosciente.
Da
ciò consegue che il momento intellettivo della previsione dell’evento è
identico in entrambi gli istituti, mentre essi vanno distinti con riferimento
al momento volitivo, considerato che, laddove l’agente deliberi di agire anche
a costo di realizzare l’evento previsto, allora verserà in dolo eventuale,
mentre, se risulta che egli ha agito senza accettare il rischio e nella
convinzione che l’evento non si sarebbe verificato o che sarebbe comunque stato
in grado di dominarlo, quanto cagionato rimarrà non voluto e dunque estraneo
alla sfera della volontà dolosa. Pertanto, rientrerà nell’ambito della colpa
aggravata dalla previsione dell’evento.
Prima
di giungere e, soprattutto, prima di ritenere la teoria dell’accettazione del rischio
come la più idonea a delineare la differenza tra i due istituti in questione, dottrina
e giurisprudenza nel corso degli anni hanno elaborato diverse concezioni,
ponendo l’attenzione ora sul momento rappresentativo ora su quello volitivo.
Alcune
teorie (c.d. della rappresentazione) hanno dato rilevanza al momento rappresentativo
del dolo, ritenendo che il dolo eventuale si realizza quando il soggetto agente
si rappresenta l’accadimento dell’evento collaterale come “altamente probabile”,
mentre nella colpa con previsione l’agente
si rappresenta l’evento come “meramente possibile”.
Altro
gruppo di teorie (c.d. volitive) ha spostato, invece, l’attenzione sulla condotta
principale del soggetto agente, ritenendo che ad un elevato disvalore della condotta
principale corrisponderà un maggiore disprezzo verso il bene giuridico tutelato
e quindi uno stato soggettivo di indifferenza verso la probabile verificazione
dell’evento, configurandosi in tale stato il dolo eventuale.
L’assunto
derivante dall’applicazione della Formula di Frank ha influenzato nettamente
tutti gli sforzi fatti dalle precedenti teorie tanto che, ad oggi, quello dell’accettazione
del rischio risulta essere, come già chiarito, il principale criterio distintivo
tra dolo eventuale e colpa cosciente.
La
giurisprudenza di legittimità in buona parte delle proprie pronunce ha aderito
a tale criterio affermando che: si è in presenza di dolo eventuale quando
l’agente, pur non volendo l’evento, accetta il rischio che esso si verifichi
come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo;
mentre si risponde a titolo di colpa aggravata nel caso in cui l’agente, pur
rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta, agisce
nella ragionevole speranza che esso non si verifichi.
A
questo punto, risulta necessario porre l’attenzione su una importante pronuncia
della Suprema Corte ( sent. n. 11222 del 2010) la quale, in tema di dolo
eventuale e colpa cosciente, partendo dal normale criterio di distinzione tra i
due istituti, ha fornito un ulteriore elemento distintivo che merita di essere
analizzato.
La
decisione prende le mosse dal famoso caso “Lucidi” del 2008 che ha visto la morte
del conducente e del passeggero di uno scooter travolto da un automobilista che
ha impegnato un incrocia senza arrestarsi al semaforo con luce rossa.
In
primo grado l’automobilista veniva condannato per omicidio volontario,
ritenendo, la Corte d’Assise, sussistente il dolo eventuale.
La
Corte di Assise di Appello, invece, riformava la sentenza condannando
l’imputato per omicidio colposo, ritenendo a tal uopo sussistente la colpa
aggravata dalla previsione dell’evento.
Il
Supremo Collegio, partendo dalla ormai assodata distinzione tra dolo eventuale
e colpa cosciente, riteneva di condividere il ragionamento logico-giuridico
seguito dalla Corte di Assise di Appello e coglieva l’occasione per fornire alcune
precisazioni sulla differenza tra i due istituti.
Secondo
i Giudici di Piazza Cavour, infatti, affinché possa ritenersi sussistente il
dolo eventuale, ciò che l’agente deve accettare non è solo il rischio del
verificarsi dell’evento, ma l’evento stesso. Nel caso in questione, è proprio
il verificarsi dell’evento morte che il soggetto deve accettare non desistendo
dalla condotta, la quale continua ad essere dispiegata anche a costo di
determinare l’evento medesimo. In sostanza, “accettazione del rischio” non
significa accettare solo la situazione di pericolo, che trova un antecedente
causale nella condotta del soggetto, e prospettarsi solo la possibilità che
l’evento si verifichi. Questo, infatti, costituisce anche il presupposto della
colpa cosciente. Significa, altresì, accettare la concreta possibilità che l’evento,
pur non direttamente voluto, si realizzi.
Ed
ancora, il dolo eventuale è pur sempre una forma di dolo, pertanto, affinché
possa venire in rilievo, è comunque necessario che un quid di cosciente investa la concretezza del
pericolo.
Da
ciò consegue che, nel momento in cui la situazione di pericolo astratto assume
le connotazioni di concretezza, vengono in rilievo la coscienza e volontà dell’azione.
In altri termini: se nel momento in cui il soggetto agente percepisce la concretezza
del pericolo (che quindi supera il livello della mera astrattezza) non è più in
grado di fare alcunché per evitare l’evento dannoso non voluto, egli dovrà
rispondere a titolo di colpa cosciente e non di dolo eventuale, perché manca
quel quid di cosciente, quella
decisione di rischiare che è necessaria per imputare al soggetto attivo il
reato a titolo di dolo eventuale.
La
percezione dell’esistenza del pericolo generico,
quindi, è insufficiente per far scattare il dolo eventuale.
Tuttavia,
tale percorso argomentativo è stato ribaltato da una successiva pronuncia della
Suprema Corte la quale in un caso analogo al caso “Lucidi” si è espressa nel senso
di ritenere sussistente il dolo eventuale.
Prendendo
sempre le mosse dalla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente sulla
base del criterio dell’accettazione del rischio, gli Ermellini si sono espressi
nel senso di ritenere che sussiste il dolo eventuale e non la colpa cosciente
qualora l’agente si sia rappresentato il concreto rischio del verificarsi
dell’evento e lo abbia anche accettato, nel senso che si sia determinato ad
agire anche a costo di cagionarlo. In sostanza, se il soggetto agente non
desiste dalla condotta criminosa bensì persiste nella stessa accettando il
rischio che l’evento si verifichi, l’inerzia del soggetto rispetto alla
concreta possibilità di desistere è già sufficiente ad integrare il dolo
eventuale (Cass. Pen., Sez. I, 15 marzo 2011 n. 10411).
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