Cassazione penale, sez. V, 43177 del 2012
Commette il delitto tentato di violenza privata, previsto e punito dagli articoli 56 e 610 c.p., l’amministratore il quale, servendosi di minacce e ostacoli materiali, limita l’accesso dei condomini agli spazi comuni. Si configurano, dunque, atti idonei e diretti in maniera non equivoca a costringere i condomini a non accedere ai luoghi vietati. L’evento non si verifica, e dunque la fattispecie si blocca allo stadio del tentativo, laddove l’obbligo di non fare non sia rispettato, per cause indipendenti dalla volontà del reo.
Nel caso concreto, il soggetto agente veniva condannato dalla Corte di Appello per il reato de quo per aver posto un cartello di “divieto di accesso” su una scala condominiale, utilizzando contestualmente delle tavole aventi la funzione di bloccare materialmente il passaggio. In aggiunta, l’amministratore aveva minacciato il condomino asserendo che non avrebbe consentito a quest’ultimo il transito. La difesa aveva eccepito la irrilevanza della minaccia, nel senso che questa non faceva altro che duplicare quanto già espresso sul divieto di accesso, e l’inidoneità degli altri atti a produrre la costrizione e dunque la compressione della libertà di autodeterminazione in capo al soggetto passivo. Il difensore, basandosi sulla facile amovibilità dei blocchi, riteneva che la condotta non fosse violenta, in quanto facilmente bypassabile dal soggetto passivo. Il giudice di appello, al contrario, rinveniva nel comportamento dell’amministratore l’idoneità a paralizzare la libertà del condomino, e fondava la decisione di condanna, che veniva sostanzialmente confermata dalla Corte di Cassazione. I giudici della Suprema Corte, infatti, rinviavano ad altra sezione di Corte di Appello, solo ai fini di una migliore motivazione in ordine al rigetto della richiesta di applicazione della sospensione condizionale della pena.
(Commento del Dott. Filippo Lombardi)
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