CASSAZIONE PENALE – Sez. VI – 3 gennaio 2013 n. 118 – Pres. Agrò – Est.
Di Salvo – (Cassa Corte d’Appello di
Caltanissetta)
Turbata libertà degli incanti – Tentativo – Fotocopia falsa in luogo dell’originale
– inidoneità.
Non integra il tentativo del delitto
di turbata libertà degli incanti la condotta di colui che presenta, all’atto di
iscrizione ad una gara pubblica, una fotocopia, seppur alterata, contenente
l’affermazione del possesso dei requisiti richiesti dal bando qualora venga
richiesta la presentazione della documentazione in originale; pertanto,
l’esibizione di una copia falsa, in luogo di quella originale prescritta, è
inidonea ad arrecare una effettiva ed apprezzabile turbativa alla gara.
Falso del privato in atto pubblico – Turbata libertà degli incanti –
Rapporti.
Il delitto di falsità ideologica
commesso dal privato in atto pubblico, integrato dalla falsa attestazione resa
in dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, rappresenta un reato
autonomo che si distingue per oggettività giuridica e per modalità di
esplicazione della condotta da quello di cui agli artt. 56 e 353 c.p.
La Cassazione sui rapporti tra il reato di falso e il reato di turbata
libertà degli incanti.
del dott. Filippo Camela
La vicenda da cui muove la
problematica giuridica de qua origina dalla condotta di un legale rappresentante di una società il quale,
all’atto di iscrizione di una gara di appalto per la fornitura di
apparecchiatura di radioterapia e del relativo servizio, attestava falsamente,
con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che la società possedeva la
necessaria capacità economica e finanziaria richiesta dal bando. A comprovare
quanto affermato, veniva presentata una copia, apparentemente autentica ma in realtà
contraffatta, di una dichiarazione rilasciata da una banca.
Il Tribunale di Caltanissetta,
all’esito del giudizio, aveva emesso la sentenza di condanna per i reati di cui
agli artt. 56, 353 c.p. (tentata turbativa di libertà degli incanti) e 483 c.p.
(falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) con l’aggravante di
cui all’art. 61, n.2 c.p. (aver commesso il reato per eseguirne un altro).
La Corte di Appello di Caltanissetta
aveva confermato tale statuizione.
Proponeva ricorso per Cassazione
l’imputato, a tacer d’altro e per quanto qui di interesse, chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata e deducendo, al riguardo, due motivi.
Con il primo, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 606, lett.b), c)
ed e), c.p.p., in relazione alla configurabilità del reato di cui agli artt. 56
e 353 c.p. alla luce dell’art. 13 del D.L.vo n. 358 del 1992 così come
modificato dall’art. 11 del D.L.vo n.402 del 199, secondo il quale la
dichiarazione della banca sulla capacità economica e finanziaria deve essere
prodotta in originale. Con il secondo, invece, lamentava la configurabilità del
reato di falso ex art. 483 c.p. poiché lo stesso si inseriva nel contesto di
quei mezzi fraudolenti già contestati nella prima incriminazione.
La sesta sezione penale della Suprema
Corte, investita della questione, ha ritenuto il primo motivo fondato. Gli
ermellini, preliminarmente, si soffermano sulla nozione di idoneità degli atti,
prevista come uno dei tre elementi costitutivi, oltre al mancato compimento
dell’azione o al mancato verificarsi dell’evento e agli atti univoci, della
condotta del tentativo di cui all’art. 56 c.p. (“chi compie atti idonei in modo non equivoco a commettere un delitto,
risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si
verifica”).
Il requisito della idoneità, superata
la tesi dell’efficienza causale, richiama “l’idea
di capacità potenziale, attitudine, congruità dell’atto compiuto rispetto alla
realizzazione del delitto preso di mira”[1] .
La valutazione della idoneità degli
atti deve avvenire con giudizio ex ante (in base alla c.d. prognosi postuma,
per la quale l’interprete deve adottare una collocazione ideale nel momento
dell’azione) e in concreto, in modo da determinare, come si legge nel corpo
motivazione della sentenza in rassegna, “la reale adeguatezza causale della
condotta e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto
di lesione del bene protetto”[2] . La
Suprema Corte rileva, tuttavia, un diffuso orientamento giurisprudenziale[3] che sostiene il carattere astratto e assoluto
del giudizio, nel senso che l’inidoneità dei mezzi e dell’azione deve essere
assolutamente e intrinsecamente inadeguata “indipendentemente
da ogni fattore estrinseco o circostanza imprevista che abbia impedito la
realizzazione dell’evento”[4] .
Nel caso di specie, tuttavia, anche a
prescindere dalle riflessioni sulle diverse soluzioni ermeneutiche offerte
sulla valutazione in concreto o in astratto, rileva che la normativa in materia
richiede la produzione della documentazione originale. Dalle risultanze
processuali è emerso, peraltro, che l’imputato non ha mentito sulla originalità
dell’atto poiché ha presentato lo stesso in veste di copia, seppur alterata. Ne
consegue che la domanda depositata dal rappresentante legale era inficiata da
un profilo di irregolarità, legato alla presentazione di una documentazione in
fotocopia in luogo di quella originale, che la rendeva inidonea a dare luogo
all’ulteriore corso della procedura amministrativa nonché ad integrare il
delitto di cui agli artt. 56 e 353 c.p..
Per quanto concerne il secondo
motivo, invece, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha ritenuto
l’infondatezza dello stesso.
La falsa attestazione resa in una
dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà integra, difatti, la fattispecie
incriminatrice prevista e punita dall’art. 483 c.p.. Quest’ultima differisce da
quella sopra esaminata sia per quanto riguarda il bene giuridico tutelato (la
fede pubblica), sia sotto il profilo oggettivo e per le concrete modalità di
esplicazione della condotta (falsa attestazione di fatti di cui l’atto è
destinato a provare la verità). Il delitto di falso ideologico, pertanto, è un
reato autonomo e distinto rispetto a quello di cui agli artt. 56 e 353 c.p..
Sulla scorta di queste
considerazioni, la sesta sezione penale della Suprema Corte annullava, soltanto
in relazione alla condanna per il tentativo di turbativa, senza rinvio.
[1] FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, Parte
Speciale, 2008, 460
[2] Cfr. Cass. Pen., sez.I, 02 ottobre del 1997,
Rep Foro it., 1998, 2057
[3] Ex multis Cass. Pen., sez.II, 04 dicembre
1978 n.2929, Cass. Pen., sez. V, 29 gennaio 1971 n.145
[4] Ex multis Cass. Pen., sez.II, 22 settembre
2005 n.36295, Cass. Pen., sez.I, 16 gennaio 1984 n.5015
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