lunedì 18 febbraio 2013

La Cassazione sul reato di Turbata libertà degli incanti.



CASSAZIONE PENALE – Sez. VI – 3 gennaio 2013 n. 118 – Pres. Agrò – Est. Di Salvo – (Cassa Corte d’Appello di Caltanissetta)
Turbata libertà degli incanti – Tentativo – Fotocopia falsa in luogo dell’originale – inidoneità.
Non integra il tentativo del delitto di turbata libertà degli incanti la condotta di colui che presenta, all’atto di iscrizione ad una gara pubblica, una fotocopia, seppur alterata, contenente l’affermazione del possesso dei requisiti richiesti dal bando qualora venga richiesta la presentazione della documentazione in originale; pertanto, l’esibizione di una copia falsa, in luogo di quella originale prescritta, è inidonea ad arrecare una effettiva ed apprezzabile turbativa alla gara.

Falso del privato in atto pubblico – Turbata libertà degli incanti – Rapporti.
Il delitto di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico, integrato dalla falsa attestazione resa in dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, rappresenta un reato autonomo che si distingue per oggettività giuridica e per modalità di esplicazione della condotta da quello di cui agli artt. 56 e 353 c.p.

La Cassazione sui rapporti tra il reato di falso e il reato di turbata libertà degli incanti.
del dott. Filippo Camela
La vicenda da cui muove la problematica giuridica de qua origina dalla condotta di un legale  rappresentante di una società il quale, all’atto di iscrizione di una gara di appalto per la fornitura di apparecchiatura di radioterapia e del relativo servizio, attestava falsamente, con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che la società possedeva la necessaria capacità economica e finanziaria richiesta dal bando. A comprovare quanto affermato, veniva presentata una copia, apparentemente autentica ma in realtà contraffatta, di una dichiarazione rilasciata da una banca.
Il Tribunale di Caltanissetta, all’esito del giudizio, aveva emesso la sentenza di condanna per i reati di cui agli artt. 56, 353 c.p. (tentata turbativa di libertà degli incanti) e 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) con l’aggravante di cui all’art. 61, n.2 c.p. (aver commesso il reato per eseguirne un altro).
La Corte di Appello di Caltanissetta aveva confermato tale statuizione.

Proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, a tacer d’altro e per quanto qui di interesse, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e deducendo, al riguardo, due motivi. Con il primo, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 606, lett.b), c) ed e), c.p.p., in relazione alla configurabilità del reato di cui agli artt. 56 e 353 c.p. alla luce dell’art. 13 del D.L.vo n. 358 del 1992 così come modificato dall’art. 11 del D.L.vo n.402 del 199, secondo il quale la dichiarazione della banca sulla capacità economica e finanziaria deve essere prodotta in originale. Con il secondo, invece, lamentava la configurabilità del reato di falso ex art. 483 c.p. poiché lo stesso si inseriva nel contesto di quei mezzi fraudolenti già contestati nella prima incriminazione.
La sesta sezione penale della Suprema Corte, investita della questione, ha ritenuto il primo motivo fondato. Gli ermellini, preliminarmente, si soffermano sulla nozione di idoneità degli atti, prevista come uno dei tre elementi costitutivi, oltre al mancato compimento dell’azione o al mancato verificarsi dell’evento e agli atti univoci, della condotta del tentativo di cui all’art. 56 c.p. (“chi compie atti idonei in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica”).
Il requisito della idoneità, superata la tesi dell’efficienza causale, richiama “l’idea di capacità potenziale, attitudine, congruità dell’atto compiuto rispetto alla realizzazione del delitto preso di mira[1] .
La valutazione della idoneità degli atti deve avvenire con giudizio ex ante (in base alla c.d. prognosi postuma, per la quale l’interprete deve adottare una collocazione ideale nel momento dell’azione) e in concreto, in modo da determinare, come si legge nel corpo motivazione della sentenza in rassegna, “la reale adeguatezza causale della condotta e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto”[2] . La Suprema Corte rileva, tuttavia, un diffuso orientamento giurisprudenziale[3]  che sostiene il carattere astratto e assoluto del giudizio, nel senso che l’inidoneità dei mezzi e dell’azione deve essere assolutamente e intrinsecamente inadeguata “indipendentemente da ogni fattore estrinseco o circostanza imprevista che abbia impedito la realizzazione dell’evento[4] .
Nel caso di specie, tuttavia, anche a prescindere dalle riflessioni sulle diverse soluzioni ermeneutiche offerte sulla valutazione in concreto o in astratto, rileva che la normativa in materia richiede la produzione della documentazione originale. Dalle risultanze processuali è emerso, peraltro, che l’imputato non ha mentito sulla originalità dell’atto poiché ha presentato lo stesso in veste di copia, seppur alterata. Ne consegue che la domanda depositata dal rappresentante legale era inficiata da un profilo di irregolarità, legato alla presentazione di una documentazione in fotocopia in luogo di quella originale, che la rendeva inidonea a dare luogo all’ulteriore corso della procedura amministrativa nonché ad integrare il delitto di cui agli artt. 56 e 353 c.p..
Per quanto concerne il secondo motivo, invece, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha ritenuto l’infondatezza dello stesso.
La falsa attestazione resa in una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà integra, difatti, la fattispecie incriminatrice prevista e punita dall’art. 483 c.p.. Quest’ultima differisce da quella sopra esaminata sia per quanto riguarda il bene giuridico tutelato (la fede pubblica), sia sotto il profilo oggettivo e per le concrete modalità di esplicazione della condotta (falsa attestazione di fatti di cui l’atto è destinato a provare la verità). Il delitto di falso ideologico, pertanto, è un reato autonomo e distinto rispetto a quello di cui agli artt. 56 e 353 c.p..
Sulla scorta di queste considerazioni, la sesta sezione penale della Suprema Corte annullava, soltanto in relazione alla condanna per il tentativo di turbativa, senza rinvio.




[1]   FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, 2008, 460
[2]   Cfr. Cass. Pen., sez.I, 02 ottobre del 1997, Rep Foro it., 1998, 2057
[3]   Ex multis Cass. Pen., sez.II, 04 dicembre 1978 n.2929, Cass. Pen., sez. V, 29 gennaio 1971 n.145
[4]   Ex multis Cass. Pen., sez.II, 22 settembre 2005 n.36295, Cass. Pen., sez.I, 16 gennaio 1984 n.5015

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