Care/i Ragazze/i,
parlando con l'avv. Frasca ho saputo dei vostri enormi progressi con il diritto amministrativo in appena un mese! Oltre a fare a voi i miei complimenti, riporto di seguito, per i non iscritti al modulo di amministrativo (che volessero però esercitarsi per la prova d'esame), una breve disamina dei casi trattati nelle dispense dell'avv. Frasca.
Vi ricordo che per iscrivervi la mail di riferimento è federicofrasca@alice.it
Indice
1. Dispensa
del 02/09/2012; pag. 3
2. Dispensa
del 07/09/2012;
pag. 8
3. Dispensa
del 21/09/2012; pag. 15
4. Dispensa del 28/09/2012; pag. 21
TRACCE
assegnate
con
la Dispensa del 02/09/2012
Atto n. 1
Il Sindaco del Comune
Alfa, a causa di un’insanabile divergenza di vedute con l’assessore al
Commercio Tizio in relazione al suo operato, adotta in data 03/05/2012 il
decreto n. 11 di revoca dell’incarico assessorile ai sensi dell’art. 46 co. 1
TUEL. In data 10/05/2012 il Sindaco espone brevemente al Consiglio Comunale le
ragioni della decisione, facendo in particolare riferimento alla scarsa
collaborazione di Tizio nell’impartire alla dirigenza le direttive
politico-amministrative sindacali e nel collaborare con gli organi politici ed
amministrativi per la redazione del programma annuale di sviluppo economico.
Tizio impugna
tempestivamente il decreto sindacale, deducendo violazione degli artt. 3
(difetto assoluto di motivazione) e 7 della l. n. 241/1990, dell’art. 46 TUEL
ed eccesso di potere per carenza d’istruttoria.
Il candidato rediga a
favore dell’Ente locale l’atto ritenuto più idoneo.
Disamina
Partiamo
dall’ultimo periodo “Il candidato rediga a favore dell’Ente
locale l’atto ritenuto più idoneo”. Solitamente
le tracce non indicano lo specifico atto (ricorso, memoria difensiva,
intervento ad opponendum, etc.); dovete “capirlo” voi.
Un’associazione mentale abbastanza sicura, tuttavia, è “P.A.=Memoria
difensiva”. Attenzione però: nell’atto n. 3 della Dispensa del 07/09/12 (su
accordi amministrativi ed art. 2932 c.c.; vd. infra) andava redatto a favore del Comune un ricorso, peraltro non
“per l’annullamento”, ma “per l’accertamento dell’obbligo […] e la
condanna ai sensi dell’art. 2932 c.c.”. Niente automatismi quindi.
Torniamo
alla traccia. La materia è quella degli “Enti locali”, la cui normativa di
riferimento è il T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267/01). I vizi di legittimità dedotti con
il ricorso sono indicati espressamente, e sono quattro: artt. 3 e 7 della l. n. 241/1990, art. 46 TUEL ed eccesso di
potere per carenza d’istruttoria. Andavano menzionati velocemente in fondo al
FATTO, dopo aver riepilogato, numerandola, la vicenda fattuale.
LA
difesa era abbastanza agevole: l’obbligo di motivazione ex art. 3 è assolto anche con una semplice menzione ad un “insanabile rottura della fiducia” con il
Sindaco, che gode di una discrezionalità molto ampia in materia di nomina e
revoca degli assessori. La stessa comunicazione al Consiglio dei motivi della
revoca assessorile va sì motivata, ma mantiene la sua rilevanza nel solo ambito
“politico” dell’Ente locale. Il Consiglio può soltanto prenderne atto, dal
momento che l’unico strumento in reazione che possiede è l’approvazione di una
mozione di sfiducia del Sindaco (a maggioranza qualificata) ai sensi dell’art.
52 co. T.U.E.L.; è un’ipotesi “estrema”, perché comporta il commissariamento
dell’intero Ente locale (l’art. 141 prevede difatti lo scioglimento dello
stesso Consiglio, oltre alla decadenza del Sindaco e della Giunta).
Solitamente
discrezionalità e motivazione sono direttamente proporzionali: più aumenta la
prima, più deve essere esaustiva la seconda. Gli atti vincolati, difatti, hanno
una motivazione con riferimento ai soli dati fattuali e normativi. Quando però
la discrezionalità è massima (vd. anche atti normativi, o atti amministrativi
generali, etc.), la motivazione torna
ad essere “superflua”.
Per
lo stesso motivo non c’è violazione dell’art. 7: se il Sindaco gode di
discrezionalità “assoluta”, che utilità ha l’apporto collaborativo del privato?
Anche ad ammettere un vizio procedimentale, si ricadrebbe poi nell’ipotesi di
cui all’art. 21-octies parte II.
Attenzione
comunque al principio di specialità: la revoca assessorile è “diversa” dalla
revoca di cui all’art. 21-quinquies (non
è previsto alcun indennizzo, né si dà vita ad un procedimento di II grado di
riesame). Quando una fattispecie è disciplinata dalla legge di settore, si
applica questa e non la l. n. 241/90, che è “residuale” e s’applica in caso di
vuoto normativo e nei limiti della compatibilità (anche in relazione ai principi
fondamentali, c’è molta elasticità: vd. la motivazione). Si cerca quindi nel
Codice prima la legge di riferimento, poi la (eventuale) norma specifica,
quindi si va alla l. n. 241/90.
Quanto
alla violazione dell’art. 46 co. 4 T.U.E.L. ed al difetto d’istruttoria, le
censure non coglievano nel segno: quanto alla prima, la traccia espone
chiaramente che il Sindaco ha dato motivata comunicazione al Consiglio (fin
troppo analitica!). Quanto al difetto d’istruttoria, la censura non è
pertinente, perché non si ricade nell’ambito della discrezionalità tecnica o
dell’atto vincolato, per cui il Sindaco non era tenuto a nessun adempimento
istruttorio.
Infine:
in via preliminare si poteva sostenere la tesi della non impugnabilità della
revoca sulla base della lettura estensiva dell’art. 7 c.p.a. (prima art. 31
T.U. n. 1054/1924).
Atto n. 2
Il Comune di Alfa in
data 20/06/2011 adotta con Deliberazione del Consiglio Comunale (C.C.) n. 23
talune modifiche allo Statuto. I consiglieri assegnati sono 30, i presenti 27;
la proposta di modifica è adottata con 16 voti favorevoli ed 11 contrari.
In particolare, viene
modificato l’art. 12 co. 1, che prima prevedeva ai sensi dell’art. 47 commi 1 e
2 TUEL, che “La giunta è composta dal Sindaco, che la presiede, e da un numero
di assessori pari a 10”, ora recita “La giunta è composta dal Sindaco, che la
presiede, e da un numero di assessori
che non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del
numero dei consiglieri comunali, computando a tale fine il sindaco, e comunque
non superiore a sedici unità”.
Rediga il candidato l’atto ritenuto più idoneo per un cittadino-elettore
del Comune di Alfa, recatosi a studio in data 20/09/2011.
Disamina
La
traccia vi voleva far riflettere su un principio sotteso all’art. 47 T.U.E.L.:
il principio di riserva statutaria. La legge attribuisce al Consiglio la
facoltà di stabilire il numero di assessori all’interno della cornice
normativa, sulla base di un numero minimo e massimo predeterminato. Se il
Consiglio a sua volta delega il Sindaco e non esercita il potere-dovere
attribuitogli dl legislatore, pone in essere un atto illegittimo, come tale
censurabile davanti al G.A..
La finanziaria 2010 (l. n. 191/09 come modificata
dalla l. n. 42/10) ha stabilito all’art. 185 co. 2 che “Il numero massimo degli assessori comunali è determinato, per ciascun
Comune, in misura pari ad un quarto del numero dei Consiglieri, con
arrotondamento all’unità superiore”. Le modificazioni statutarie vanno
approvate dal Consiglio a maggioranza qualificata (2/3 dei consiglieri
assegnati). Bastava un rapido calcolo: se i consiglieri sono 30, la delibera
non poteva passare con meno di 20 voti, e non con soli 16. Ecco il secondo
vizio di legittimità.
Inoltre: l’art. 47 stabilisce che il numero dei
consiglieri non deve essere superiore ad ¼ dei consiglieri. Se i Consiglieri
sono 30, gli assessori non possono essere più di 8 (arrotondando
aritmicamente). Ecco il terzo vizio di legittimità.
Ultime
due osservazioni: la data 20/09/2011 poteva indurvi a ritenere che il ricorso
sarebbe stato di sicuro dichiarato irricevibile per tardività. In realtà, come
nel processo civile, anche per quello amministrativo vige la sospensione
feriale dei termini dal 1 agosto al 15 settembre (eccezione: le istanza
cautelari).
Il
riferimento al “cittadino-elettore”
serviva invece a spingervi a premettere allo svolgimento del ricorso nel merito
qualche breve osservazione sulle condizioni dell’azione, ovvero su
legittimazione ed interesse a ricorrere. Negli atti “veri” solitamente viene eccepita
in sede di memoria l’inammissibilità del ricorso per la relativa mancanza;
negli atti in vitro” può esser
opportuno spendere qualche parola in materia per arricchire l’elaborato e far
capire ai commissari che si padroneggia il diritto amministrativo (anche anche
processuale).
Atto n. 3
Il Sindaco del Comune
di Alfa, a seguito di numerosi investimenti di pedoni da parte di automobili,
con ordinanza sindacale n. 1 del 1/07/2012, adottata ai sensi dell’art. 54 co.
4 TUEL, dispone la chiusura al traffico del tratto costiero di strada più
interessato dai sinistri, localizzato in prossimità dei locali della “movida”,
dalle ore 22 alle 2 di ogni venerdì, sabato e domenica, sino al 31/07/2012.
Il provvedimento
sindacale, peraltro, era stato preceduto da una relazione della Polizia
municipale che imputava i tragici eventi alla scarsa illuminazione della
strada, alla mancanza di strumenti di rallentamento dei veicoli (dossi,
semafori, rotatorie, etc.) e di segnaletica verticale ed orizzontale ed alla presenza
di parcheggi sul tratto stradale stesso.
A seguito di ulteriori
investimenti, molti dei quali mortali, montante un crescente clamore popolare e
la critica della stampa locale, il Sindaco emana una nuova ordinanza sindacale,
la n. 2 del 10/07/2012, con valore retroattivo, con cui dispone la chiusura
totale del tratto stradale al traffico automobilistico, per tutta la durata
della giornata e sino al 15/09/2012. Nella parte motiva del provvedimento, si
legge, “Sulla base del principio di precauzione ed al fine di evitare la
commissione di ulteriori incidenti automobilistici, integranti fattispecie di
reato (omicidio colposo, lesione personali colpose, etc.), oltre che la
violazione del Codice della Strada […]”.
La forte riduzione del
numero dei clienti spinge i titolari delle attività commerciali sulla costa a
chiedere formalmente al Sindaco la modifica delle misure disposte, ma senza
esito.
Il titolare della
impresa Beta, rischiando la chiusura anticipata della attività stagionale, si rivolge al legale. Rediga il candidato
l’atto idoneo.
Disamina
Questa
traccia era molto interessante perché poneva sul tappeto numerose questioni.
Il
periodo ci introduce l’istituto: le ordinanze contingibili ed urgenti (dette
anche extra ordinem) ex art. 54 co. 4 T.U.E.L., di competenza
sindacale. Si tratta di provvedimenti amministrativi che derogano al principio
di tipicità (corollario del principio di legalità dell’attività
amministrativa): il loro contenuto non è quindi prefissato dalla legge, che si
limita a delineare “i settori d’intervento” (sicurezza urbana, pubblica
incolumità) ed i presupposti (prevenzione o eliminazione di un grave pericolo).
Questo non toglie che debbano rispettare i principi generali dell’ordinamento,
in particolare quelli costituzionali e comunitari. Quindi, ad es., un’ordinanza
che vieti i cortei (come quella adottata dal Sindaco Alemanno dopo gli scontri
di piazza S. Giovanni), viola palesemente gli artt. 21 e 13 della Cost.
Veniamo
alla traccia. I primi due periodi ci descrivono una attività sindacale
legittima: la prima ordinanza è legittima, anche se il rapporto della P.M. fa
capire che servono interventi strutturali (segnaletica stradale orizzontale e
verticale, autovelox, maggiore illuminazione, controllo del tasso etilico
durante la fine-settimana, sensibilizzazione della cittadinanza attraverso
campagne, cartelloni, etc.), e non
misure straordinarie permanenti (anche se la giurisprudenza ha ritenuto
legittime ordinanze volte a dettare una disciplina anche superato il pericolo;
è dibattuta difatti anche la natura giuridica delle stesse … Dottrina
minoritaria parla di “atti normativi” più che di “amministrativi”, almeno
quando il contenuto è generale ed astratto più che individuale e concreto).
Ad
ogni modo, dal terzo periodo della traccia emerge come il Sindaco “perda il
controllo” e, sotto le spinte collettive emotive, ponga in essere un’attività
provvedimentale gravemente viziata sotto il profilo del rispetto del principio
(di matrice comunitaria) di proporzionalità. Con la seconda ordinanza difatti dispone “la chiusura totale del tratto stradale al
traffico automobilistico, per tutta la durata della giornata e sino al
15/09/2012”. Vengono violati inoltre gli artt. 16 e 13 della Cost., oltre
al fondamentale principio di libera circolazione delle persone di matrice
comunitaria.
Altro
vizio provvedimentale è il valore retroattivo: gli atti amministrativi sono
retti dal principio tempus regit actum (d’altronde
il valore retroattivo è eccezionale anche per gli atti normativi, vd. art 11
disp. prel. al c.c., perché contrasta con il principio il certezza del diritto;
diverso è l’art. 2 c.p., perché prevale il favor
libertatis). Il Sindaco doveva quindi prima revocare la prima ordinanza,
poi emanare la seconda (anche con il medesimo atto).
Altri
vizi emergono dalla parte motiva: il principio di precauzione (di matrice
comunitaria) può essere invocato solo in materia ambientale; il Sindaco, quando
agisce come Ufficiale di Governo (ed è il caso delle ordinanze extra ordinem), è subordinato al Prefetto,
unico organo competente in materia di “prevenzione del crimine”, visto che
l’ordine pubblico è settore di competenza esclusiva dello Stato. L’ordinanza è
quindi inficiata anche sul piano della competenza.
Infine:
le ricadute commerciale dell’operato del Sindaco dovevano spingervi a formulare
istanza cautelare ed farvi argomentare brevemente sulle condizioni dell’azione
(di un’impresa nel caso di specie).
TRACCE
assegnate
con
la Dispensa del 07/09/2012
Atto n. 1
Tizio nota un forte
flusso di mezzi pesanti per la movimentazione ed il trasporto di terra nell’area
di proprietà di Caio, sita di fronte al suo villino. Pochi giorni dopo vede un
cartello con la scritta “area sottoposta a sequestro giudiziario”. Rivolge
quindi all’Ufficio edilizia istanza d’accesso ai sensi dell’art. 22 della l. n.
241/90, per conoscere se e quali siano gli abusi edilizi commessi dal suo
frontista, quali sanzioni amministrative
siano state irrogate e quali procedimenti penali siano pendenti.
Il competente ufficio
comunale rilascia soltanto copia della determinazione n. 3 del 22/06/2012 di
demolizione dei manufatti abusivi e di riduzione in pristino, e dà contezza
dell’esistenza di un processo amministrativo tra le parti (R.G. n. 1000/12), ma
nega l’accesso ai documenti di rilevanza penale
adducendo la “tutela del segreto istruttorio”.
Tizio, volendo
intervenire nel processo in corso e volendo al contempo ottenere i documenti
relativi alla notitia criminis, si rivolge al suo legale.
La
traccia verte sull’accesso e sul rapporto tra pluralità delle domande e rito
applicabile.
Cominciamo
con l’accesso: è istituto trasversale a tutti i settori speciali del diritto
amministrativo, oltre che istituto cardinale del diritto amministrativo
“generale” (direttamente collegato all’art. 97 Cost., ed al principio di
trasparenza dell’attività amministrativa).
Più
volte vi ho invitati a far attenzione al principio di specialità tra la l. n.
241 e le varie leggi di settore. In materia edilizia (T.U. è il d.P.R. n.
380/01) vige qualche norma speciale? No; bisogna allora fare riferimento alla
legge ”generale”, la n. 241 (nei limiti in cui è compatibile). Altre volte la
norma c’è: vd. in materia d’appalti l’art. 13 o nel settore dell’ambiente
l’art. 3-sexies del D.Lgs. n. 152/06 (qui
l’accesso è più ampio di quello previsto dagli artt. 22 e ss.: è di tipo
collaborativo/oggettivo, perché non presuppone una particolare legittimazione o
interesse, ma è volto ad un controllo di legalità sull’azione amministrativa).
Torniamo
alla traccia: andava redatto un ricorso avverso il diniego parziale d’accesso, sulla
base della relativa illegittimità. Nel nostro ordinamento l’accesso è sempre
garantito, eccezion fatta nelle ipotesi di cui all’art. 24 co. 1 lett. a) – d),
e co. 6 a) - e). In tutti gli altri casi, anche in relazione ai dati
“sensibili” (dati giudiziari) o “sensibilissimi” (salute e vita sessuale),
l’art. 24 co. 7 prevede la prevalenza del diritto d’accesso in tutti i casi in
cui il diritto presupposto sia di valore superiore o uguale a quello alla
riservatezza di cui al D.Lgs. n. 196/03. Questa “clausola generale” permette di
rendere residuali le ipotesi di legittimo diniego all’accesso.
Nel
caso in esame, la sussistenza di un processo pendente tra la P.A. ed un terzo
non basterebbe; tuttavia, essendo Tizio frontista di Caio, i processi penale ed
amministrativo non sono affatto un dato neutrale per Tizio, che ben potrebbe
costituirsi come parte civile contro Caio nel processo penale ed intervenire ad opponendum nel processo
amministrativo. L’invocabilità dell’art. 24 della Cost. da parte di Tizio rende
illegittimo pertanto il diniego opposto dalla P.A. (peraltro sulla base di un
generico “segreto istruttorio”, che nell’attività amministrativa non è più
ammissibile dal 1990!).
Veniamo
alla seconda questione sottesa alla traccia: apparentemente vi si spingeva ad
esercitare nel ricorso sia la domanda d’annullamento del diniego d’accesso sia
l’intervento ad opponendum per
ottenere “definitivamente” la riduzione in pristino dei luoghi abusivamente edificati.
E’
il tema della pluralità delle domande e del rito applicabile.
L’art.
34 co. 1 c.p.a. recita: “È sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di
domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono
soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal
Titolo V del Libro IV.
Il Titolo V all’art. 119 c.p.a. diciplina il “Rito abbreviato
comune a determinate materie” (consistente nel dimezzamento dei termini
processuali ed in una tutela cautelare particolarmente incisiva) ma tra queste
non figura l’accesso, il cui rito (comunque speciale ed “accelerato”) è
disciplinato dall’art. 116 c.p.a., che al co. 2 stabilisce che “In pendenza di un giudizio cui la richiesta
di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con
istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il
ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali
controinteressati. L’istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio
principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio”.
La soluzione preferibile per Tizio quindi non è né presentare con
il medesimo ricorso una duplice domanda (di annullamento del diniego d’accesso
e di condanna da un lato, di intervento ad
opponendum dall’altro) né presentare domanda d’accesso agli atti
all’interno del processo (amministrativo) già pendente tra Tizio e Caio. In
entrambi i casi il rito per entrambe le domande è quello ordinario (nel primo
caso necessariamente, nel secondo eventualmente). E’ preferibile quindi
presentare soltanto il ricorso “autonomo” per l’accesso e motivare la propria
legittimazione ed il proprio interesse sulla base del processo pendente e della
connessione con la domanda d’ostensione.
Atto n. 2
Tizio si vede
notificare in data 06/06/2012 la determinazione dirigenziale (d.d.) n. 34 con
cui il competente ufficio del Comune di
Alfa gli ordinava la sospensione dei lavori e la riduzione in pristino e gli
comminava la multa di € 1.032, unitamente ed in solido a Caio, promissario
acquirente immesso nel possesso dell’immobile in data 15/05/2012 in base al
preliminare intercorso tra i due il 02/05/2012.
Esercitato l’accesso ex
art. 22 della l. n. 241/90 ed ottenuta
copia dei documenti, Tizio verificava che Caio, pochi giorni dopo l’immissione
in possesso, aveva eliminato una barriera architettonica costituita da una muro
e iniziato la realizzazione di una cancellata d’ingresso per autoveicoli. In
data 24/05/2012 Caio, convintosi che il manufatto realizzato non rientrasse
nell’area della “attività edilizia libera” di cui all’art. 6 T.U., avendo
qualche mese prima Tizio presentato la D.I.A. per un intervento del tutto
simile, aveva presentato una D.I.A. in
sanatoria ai sensi dell’art. 36, co. 1 del T.U, ma il competente ufficio
edilizio aveva emanato la predetta d.d. ai sensi dell’art. 37 co. 2 d.P.R. n.
380/01, con cui si dava contezza inoltre dell’avvenuta comunicata alla
competente Procura la notitia criminis
a carico di entrambi.
Tizio, convinto della
propria estraneità agli eventuali illeciti commessi da Caio, e comunque, della
legittimità della D.I.A. di Caio, si reca dal proprio legale. Il candidato
rediga a suo favore l’atto ritenuto più idoneo.
Quest’atto
poteva esser facilmente redatto sulla base da un lato della semplice (ma
attenta) lettura del T.U. in materia edilizia e dall’altro dei principi
generali del diritto amministrativo.
Il
ricorso va articolato prima cercando di dimostrare l’estraneità di Tizio
rispetto agli abusi commessi da Caio, quindi eccependo il suo difetto di
legittimazione passiva, quindi, in via subordinata (nell’ipotesi in cui il G.A.
non accolga tale eccezione), cercando di dimostrare la conformità alla legge
delle opere edilizie realizzate da Caio. Perché? Perché essendo ancora
proprietario e gravando (le parti hanno stipulato soltanto un preliminare ad
effetti anticipati) su di lui un obbligo di custodia/sorveglianza sul bene, non
potrebbe certo censurare la d.d. in parte
qua, ossia per avergli comminato, in solido, le sanzioni amministrative
esposte nella traccia.
In
via preliminare, dunque, andava eccepito il difetto di legittimazione passiva.
Su
quali basi?
La norma di riferimento è l’art. 29 del T.U. (d.P.R. n.
380/01): i responsabili degli
abusi edilizi sono il titolare del
Permesso di Costruire (alcune regioni hanno legiferato in materia prevedendo
“ il titolare del titolo abilitativo” per inserirvi anche le opere soggette a
Comunicazione di inizio Lavori o la SCIA), il Direttore dei lavori per le opere da lui dirette, il Committente e
il Costruttore. Viene aggiunto il Progettista per le opere soggette a SCIA ( ex
DIA) e per le opere in cemento armato.
Il proprietario non figura tra i responsabili. In caso di
abusi edilizi commessi da un soggetto terzo, (inquilino, usufruttuario,
promittente acquirente come Caio, etc.)
il proprietario è considerato sempre estraneo?
No. E’ ritenuto dalla giurisprudenza tale soltanto nell’ipotesi in cui non se ne ravvisi
un suo contributo soggettivo (con
dolo o colpa) all’altrui edificazione, salvo, ovviamente, che egli non coincida
con una delle figure ex art. 29 T.U.
Per essere totalmente estraneo all’abuso il Proprietario deve
comunque dimostrare di
non essere in colpa in
quanto viene comunque ritenuto il soggetto che ha maggiore interesse ad “edificare” sul proprio
terreno. A conferma di ciò viene inserito tra i soggetti a cui
va notificata l’ingiunzione di ripristino di cui all’art 31 T.U. per l’abuso
che si è verificato sul proprio immobile (per molte leggi regionali il proprietario
è chiamato in causa già con l’ordinanza di sospensione dei lavori) .
La giurisprudenza in materia ha sancito che al fine di
ritenere il proprietario quale “responsabile” vada valutato se questi abbia la piena disponibilità dell’area
oppure se ha in qualche modo “favorito”
la realizzazione dell’illecito.
Nella materia è quindi evidente una commistione tra diritto
penale e diritto amministrativo.
Importati elementi a sfavore del titolare dell’immobile sono
la sua presenza costante sul luogo dell’abuso, l’avere impartito disposizioni ai tecnici e alle
maestranze, l’aver presentato atti abilitativi o richieste di
accertamento di conformità, l’essere a conoscenza dell’assenza del titolo
abilitativo o l’aver tenuto comportamento sia positivi che negativi dai quali
si possa ricavare una compartecipazione anche solo morale nella altrui condotta
illecita, un contributo che deve tradursi nell’avere istigato
altri a commettere il reato o nell’avere assicurato un proprio aiuto o sostegno
e, quindi, nell’avere determinato o rafforzato l’altrui proposito criminoso.
Il tutto deve essere valutato secondo le regole generali sul
concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la
semplice connivenza, attesa l’inapplicabilità dell’art. 40 co.2 c.p., in quanto
non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di
controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato.
Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, il Comune
accerta la mancanza di responsabilità del proprietario (come nel caso di
assoluta estraneità ai fatti ed assenza di dolo o colpa) e questi può non essere coinvolto nell’intero
procedimento sanzionatorio e quindi non subire la perdita del bene e nemmeno
occorrerà notificargli l’ordinanza di demolizione.
Ovviamente la traccia non forniva particolari dettagli; il
FATTO poteva essere tuttavia genericamente “integrato” (la regula aurea rimane, tuttavia, quella di attenersi ai dati forniti
dalla traccia).
Veniamo al merito: se il G.A. non riconosce il difetto di
legittimazione passiva, Tizio ha tutto l’interesse (al pari di Caio) ad
ottenere l’annullamento del provvedimento.
Su quali basi? Per violazione degli artt. 22, 36 e 37 del
T.U., dal momento che l’opera edilizia realizzata da Caio necessita della sola
S.C.I.A. edilizia (ex D.I.A.; il T.U.
conserva tuttavia i precedenti termini), non comportando aumento della
volumetria o della cubatura (per cui è richiesto il permesso a costruire). La
D.I.A. in sanatoria nona andava quindi “rigettata” dall’Ufficio edilizio del
Comune.
E’ evidente poi la contraddittorietà procedimentale: per un
intervento del tutto analogo Tizio aveva presentato pochi mesi prima la sola
D.I.A.; a legislazione invariata, perché per casi simili la P.A. adotta
soluzioni diverse?
Infine: per completezza poteva essere formulata la domanda
risarcitoria e quella cautelare. Su quali basi? Forzando un po’
l’argomentazione, sul pregiudizio alla stipula del definitivo che può arrecare
l’esecuzione spontanea o in danno del provvedimento di riduzione in pristino.
D’altronde nell’atto si può “osare” di più rispetto al parere (che è pro veritate)!
Atto n. 3
Il Consorzio Alfa
riceve in assegnazione dal
Comune di Beta terreni per l’edificazione e l’urbanizzazione di aree, in parte
di sua proprietà ed in parte da espropriare, ricadenti nel Piano di zona n. 40,
stipulando al contempo un accordo sostitutivo di provvedimento ex art. 11 della l. n. 241/90 con il
quale il Consorzio assumeva a proprio carico gli oneri di urbanizzazione per le
aree nn. 1-20 e l’obbligo di cedere gratuitamente al Comune le aree nn. 3 e 4 da
destinare a sede stradale e verde pubblico.
Con atto n. 1 del
10/03/2012 rep. 10 del notaio Tizio, il Consorzio cedeva al Comune l’area n. 3
ma tratteneva la n. 4. In data 24/04/2012 veniva quindi sottoscritto il verbale
di cessione gratuita di aree, con il quale il Comune di Beta veniva immesso
effettivamente nel possesso delle area n. 3 del piano di zona di pertinenza del
Consorzio, il quale rinnovava espressamente l’impegno di “… completare la cessione dell’area n. 4 entro 30 giorni”.
Trascorsi più di due
mesi, il Comune di Beta, dovendo iniziare nell’area n. 4 i lavori per la
costruzione di un Centro botanico a partire dal 01/07/2012, si rivolge al
proprio legale per tutelare i suoi diritti.
La
traccia poneva un unico quesito? E’ possibile chiedere l’esecuzione in forma
specifica di un obbligo contratto in sede di accordo amministrativo?
L’Ad.
Plen. n. 28/2012 ha risposto affermativamente.
L’art.
2932 c.c. prevede un tipico rimedio civilistico utilizzato per ottenere una sentenza
costitutiva che renda effettive le obbligazioni (nascenti dal preliminare di
compravendita immobiliare) a carico del promittente alienante.
La giurisprudenza testé menzionata peraltro precisato
che il rimedio de quo è ben estendibile
oltre la materia contrattuale, e che lo stesso (vd. Cass. civ., sez. II, sent. n.
5160/12 “al fine di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere
un contratto, deve ritenersi applicabile non solo nelle ipotesi di contratto
preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra
ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il
trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio
unilaterale, sia in relazione ad un atto o ad un fatto dai quali detto obbligo
possa sorgere ex lege”.
L’Ad. Plen. n. 28/12 accoglie definitivamente la tesi
della natura privatistica degli accordi ex
art. 11 della l. n. 241/90, almeno quanto ai rimedi. La patologia
“genetica” degli stessi comporta dunque nullità, annullabilità, rescissione, e
quella “funzionale” risoluzione per inadempimento, per eccessiva onerosità
sopravvenuta, per impossibilità della prestazione, recesso per giusta causa
(oltre a quello tipico previsto per “motivi di pubblico interesse”), etc. Sembra così superata la tesi della
natura pubblicistica, che tra i rimedi ammetteva soltanto l’annullamento (giurisdizionale
o in autotutela), e tra le patologie genetiche l’annullabilità
(amministrativistica, ossia ex art.
21-octies della l. n. 241/90) ed eccezionalmente
la nullità (ex art. 21-septies).
La traccia doveva quindi trattare in via preliminare la
questione della giurisdizione del G.A. sugli accordi amministrativi ai sensi
dell’art. 133, co. 1 lett. b) c.p.a. (“…
sono devolute … le controversie in materia di … formazione,
conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di
provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni);
poi nel merito si doveva invocare il rimedio di cui all’art. 2932 c.c. proprio
sulla base della recente pronuncia dell’Ad. Plen. summenzionata.
Vi
riporto uno dei passaggi fondamentali della stessa (era buona cosa riportare
con parole proprie, nel ricorso, i concetti di seguito espressi): “Né può addursi, a fondamento della pretesa
inammissibilità dell’azione in questione, la sua asserita natura speciale ed
eccezionale, in quanto mista, cognitiva ed esecutiva insieme, derogatoria
pertanto della normale separazione tra azione cognitoria e azione esecutiva,
Invero tale natura non la rende incompatibile (né è stata fornita alcuna
significativa argomentazione al riguardo) con la struttura del processo
amministrativo come delineato dal relativo codice, tanto più che, da un lato,
non solo è espressamente prevista un’azione (di ottemperanza), anch’essa
caratterizzata dalla coesistenza in capo al giudice di poteri di cognizione ed
esecuzione insieme e, d’altro lato, non può neppure sostenersi la tesi di una
eventuale “tipicità” delle azioni proponibili nel processo amministrativo,
tipicità che sarebbe in stridente ed inammissibile contrasto, oltre che con i
fondamentali principi di pienezza ed effettività della tutela, ex
art. 1 c.p.a., con la stessa previsione
dell’art. 24 della Costituzione.
Ma a prescindere da tali
considerazioni di carattere generale, sta comunque il fatto che nella specie,
per quanto innanzi esposto, si verte in una ipotesi di giurisdizione esclusiva
la quale, là dove vengano in discussione questioni su diritti, come è per
l’appunto nel caso in esame, non può
che garantire agli interessati la medesima tutela e, dunque, le medesime specie
di azioni riconosciute dinanzi al giudice ordinario.
Né può condividersi la tesi secondo cui
l’effetto dell’acquisizione delle aree in questione avrebbe potuto essere
conseguito dall’amministrazione pubblica utilizzando i propri poteri
autoritativi, quale l’acquisizione d’ufficio: a tacer d’altro, è sufficiente al
riguardo rilevare che l’eventuale possibilità di esperire poteri amministrativi
non rende di per sé inammissibile la proposizione di una domanda giudiziale.
La traccia ha una peculiarità: va redatto un ricorso a
favore di un Ente locale (ossia una P.A.); è l’eccezione che conferma la regola
“privato = ricorso, P.A. = memoria difensiva”.
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