di Filippo Lombardi
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1. I MOMENTI SIGNIFICATIVI DELL’ILLECITO PENALE.
Un reato, in
quanto fatto umano che si distribuisce nel tempo, presenta alcune significative
fasi costitutive: l’ideazione, la
rappresentazione, la programmazione, l’esecuzione, il perfezionamento e la
consumazione. Con la fase dell’ideazione, l’autore forma nella propria
mente il concetto di reato specifico; nella fase della rappresentazione crea il
collegamento tra se stesso e l’azione criminosa da compiere, cioè
“familiarizza” con l’immagine di se stesso che compie il reato; con la
programmazione egli pianifica il compimento del reato, e tale fase può aversi
solo nei reati con dolo di proposito ( o peggio, commessi con premeditazione).
Se si tratta di mero dolo di proposito, vuol dire che l’unico carattere
esistente è la distanza temporale tra la fase rappresentativa-ideativa durante
la quale il soggetto mantiene il proposito criminoso, e quella esecutiva. Se
oltre a tale carattere vi è la predisposizione di mezzi finalizzati
all’attuazione, si parla di preordinazione (sintomo ma non presupposto
automatico della premeditazione). Se, oltre alla preordinazione, si riscontra
la progettazione di modalità e circostanze di luogo e di tempo, si parlerà di
premeditazione. Si comprende bene che
quando il reato è compiuto con dolo d’impeto, il passaggio dalla fase ideativa
a quella esecutiva è talmente rapido da “scavalcare” il momento della
programmazione. Successiva a tale ultima fase citata è quella dell’ esecuzione,
in cui il pensiero avente ad oggetto il reato nelle sue componenti trascende il
suo contenimento nella psiche del soggetto e si estrinseca nella realtà
materiale. E’ da rimarcare a tal proposito che, se parlassimo di esecuzione in
senso lato, potrebbero essere compresi in tale alveo anche gli atti che mirano
a concretizzare il reato ma non integrano ancora il tenore letterale della
norma incriminatrice avente ad oggetto quel fatto illecito specifico, poiché
tratteremmo l’esecuzione come momento inerente semplicisticamente alla
materializzazione del pensiero criminoso. Mentre, laddove si parlasse di
esecuzione strictu sensu, si farebbe
riferimento solo agli atti penalmente rilevanti, cioè quelli integrativi della
norma penale. L’esecuzione ha un principio e una fine, la quale coincide col
cosiddetto perfezionamento del reato. Il reato è perfetto nel momento in cui
risulta integrata la fattispecie penale di riferimento, cioè l’istante in cui si
può asserire che tutto ciò che è presente nella norma astratta e generale ha
trovato il proprio “referente” materiale nella realtà esteriore e concreta. Il
perfezionamento, secondo alcuni, integra già la consumazione del reato, mentre
per altri quest’ultima potrebbe anche collocarsi ad un livello temporale
successivo, rimanendo ciò una fase eventuale, come del resto la programmazione.
La consumazione, cioè, si avrebbe nel momento in cui l’offesa al bene giuridico
tutelato dalla norma incriminatrice raggiunge la sua estensione massima. Per
esemplificare, si immagini il bene giuridico integrità fisica, offeso dalla
lesione. Il reato corrispondente si verificherà nel momento del primo atto
idoneo ( si immagini il primo colpo di coltello), e potrà dirsi perfezionato.
Se l’atto è unico, il reato è perfezionato e consumato, mentre se seguono altri
colpi, l’offesa al bene giuridico cresce attraverso un’ escalation, e la fase della consumazione si avrà quando verrà
sferrato l’ultimo colpo. Distinguere il momento del perfezionamento da quello
della consumazione è molto utile in tema di reato permanente, di cui si parlerà
a breve.
La
ricostruzione ora fornita, inerente alla distribuzione del reato nel tempo,
necessita di integrazioni e correzioni in tema di reato colposo, per ovvi
motivi. I momenti della rappresentazione e dell’ideazione coinvolgono l’aspetto
intellettivo dell’illecito colposo, che è un aspetto eventuale, potendo essere
la colpa anche incosciente, e cioè sfornita proprio dell’elemento della
previsione. Il soggetto agente, nel reato colposo con coscienza, può quindi
prefigurarsi che vi potrebbe essere la verificazione di un evento reputato
illecito dalla legge penale, che consegua ad una propria condotta, ma
ovviamente non programmerà tale evento, poiché la programmazione sottintende il
finalismo e quindi il dolo. L’esecuzione si ha con il compimento di un’attività
omissiva o commissiva irrispettosa di una regola precauzionale fornita da fonti
scritte o di derivazione sociale, e si giungerà così al perfezionamento. O
meglio, il perfezionamento nel reato colposo coincide proprio col momento in
cui il soggetto prende le distanze dalla condotta prescritta con finalità
cautelare, causando un danno. La consumazione si avrà invece nel momento in cui
sarà stato raggiunto il massimo grado di offesa al bene giuridico tutelando, al
pari di quanto detto per il reato doloso.
2. IL TEMPUS COMMISSI
DELICTI.
Brevemente
si segnalano quindi i momenti, nell’ambito di ciascuna tipologia di reato, allo
scattare dei quali si possa dire che il reato è stato commesso.
Il reato
doloso è commesso nell’ultimo istante della condotta che sia retto dalla
volontà criminosa dell’agente. Il reato colposo è commesso nel momento in cui è
violata la norma precauzionale tesa a scongiurare quel tipo di evento in
concreto verificatosi. Il reato omissivo improprio è commesso nell’ultimo
istante utile per l’intervento del reo, cioè il momento ultimo in cui
l’intervento suddetto avrebbe integrato l’azione doverosa scongiurando il
verificarsi dell’evento lesivo. Il reato omissivo proprio è commesso anch’esso
nell’ultimo momento in cui la legge (termine perentorio) richiede di agire o
nell’alternativo istante (termine ordinatorio) in cui l’intervento avrebbe
scongiurato il pericolo. I reati abituali sono commessi nel momento in cui la
reiterazione di un’attività integra il sistema di condotte sufficienti per
essere reputate offensive del bene giuridico tutelato, con consapevolezza che
l’ultima di tali condotte sia un tassello aggiunto alle altre precedenti. Il
reato permanente è commesso nel momento della rimozione dello stato di
antigiuridicità, e cioè quando il bene giuridico compresso, si espande
nuovamente o è definitivamente annichilito. Il reato condizionato è commesso al
verificarsi della condizione. Si può dire, quindi, che la commissione del reato si ha in generale
con la consumazione dello stesso, e non col mero perfezionamento. Quest’ultimo
invece fungerà da presupposto per l’individuazione dell’autorità giudiziaria
competente territorialmente. L’esempio lampante è proprio dato dal reato
permanente, in cui il distacco temporale tra perfezionamento e consumazione
aiuta a capire questo discorso più chiaramente. Nel sequestro di persona, reato
permanente per eccellenza, il giudice competente per territorio è quello del
luogo ove la vittima è privata della libertà (perfezionamento). Se il
sequestratore nel frattempo girerà
l’Italia con il sequestrato, la competenza territoriale non cambierà (
salvo il caso che si verifichi la morte del sequestrato). Se il sequestro si protrae
per anni, sarebbe rischioso da parte del Legislatore ritenere che il reato sia
stato commesso nel momento della privazione della libertà personale, perché a
far data da quell’istante vi sarebbe l’inizio del decorso temporale necessario
a far prescrivere il reato, e quindi si cadrebbe nel paradosso che
l’ordinamento giuridico incentivi i sequestratori a portare avanti il loro
reato utilizzando tutto il tempo necessario a prescrivere, per rimanere così
impuniti. Ecco perché il tempo necessario a prescrivere partirà dalla rimozione
dello stato di antigiuridicità (consumazione), e da tale momento potremo dire
che il reato è stato commesso. Si deve aggiungere che il gap temporale e fattuale tra perfezionamento e consumazione sarà
utile ai fini della commisurazione della pena, laddove l’articolo 133 c.p.
prescrive di valutare l’entità del danno o del pericolo, la quale sicuramente
verrà approfondita proprio in virtù del lasso di tempo trascorso. Altresì, si
consideri come perfezionamento e consumazione possono coincidere, ad esempio
nel caso dei reati unisussistenti.
3. DIFFERENZE TRA REATO ISTANTANEO E “REATI DI DURATA”.
Il reato si definisce istantaneo
quando perfezionamento e consumazione sono pressoché contestuali, nel senso che
il reato contempla un perfezionamento coincidente col massimo dell’offesa
arrecata al bene giuridico (lesione con unico colpo di pugnale), e quindi con
la consumazione, o contempla un perfezionamento a cui segue nel brevissimo
periodo l’escalation nell’offesa al bene giuridico, senza rilevante protrazione
nel tempo dello stato di antigiuridicità (lesioni multiple concentrate in pochi
minuti).
Ci si troverà dinanzi ad una forma di reato diverso, cioè a quello
permanente, nel momento in cui
perfezionamento e consumazione si trovino ad una distanza temporale rilevante
per l’ordinamento. Si richiamino i reati associativi e il reato di sequestro di
persona. Se l’accordo di costituire un’associazione per delinquere (art. 416
cod. pen.) nasce e cessa dopo pochi istanti, il reato non è integrato e tra
l’altro non è punibile nemmeno sotto forma di delitto tentato, poiché il reato
associativo deve essere considerato reato di pericolo, che non ammette il
tentativo. Diverso è il discorso del sequestro di persona, in quanto esso è
reato di evento naturalistico, coincidente con la compressione della libertà
personale del sequestrato. Secondo la giurisprudenza, però, per essere
integrato tale reato, non è sufficiente il perfezionamento, cioè la limitazione
della libertà, ma è necessario un principio di consumazione. Tale principio si
verifica quando la limitazione della libertà personale si protrae per un tempo giuridicamente apprezzabile, essendo
sufficienti per la Suprema Corte anche che la condotta illecita sia durata pochi
minuti. Se tale tempistica non è rispettata, il reato, pure in teoria
perfezionato, poiché tutti gli elementi tipici si sono concretizzati, in
pratica viene considerato al livello di tentativo. Quindi si può dire che
mentre il reato istantaneo può essere integrato a prescindere dalla
consumazione, essendo sufficiente il perfezionamento, il reato permanente
rimane al livello di tentativo se si perfeziona senza godere di un minimum di consumazione, ed è integrato
qualora lo stato di illiceità si protragga per un tempo rilevante
giuridicamente. Il reato permanente, come già si anticipava, si qualifica anche
per la protrazione della volontà criminosa, la quale deve “coprire” il tempo
della condotta illecita, cioè estendersi insieme ad essa, e può avere ad
oggetto solo un bene giuridico comprimibile, quindi elastico, che può tornare
alla sua dimensione originaria dopo la consumazione del reato. Una questione
giuridica importante si pone rispetto alla possibilità di avere la
continuazione tra più episodi relativi a reati permanenti. La risposta è
affermativa, nel momento in cui si creino “pause” nella condotta illecita,
qualora essa sia iniziata nuovamente in un momento successivo, trovando tale
reiterazione la propria ratio nel reato identico precedentemente compiuto.
Volendo esemplificare, sempre tenendo a mente il reato associativo, questa
volta ex art. 416 bis, e il reato di sequestro di persona, si può argomentare
come segue. Può aversi la continuazione tra due reati di associazione mafiosa
qualora, ad esempio, la condotta illecita permanente sia intervallata da
episodi di detenzione e il ritorno operativo nell’associazione sia dettato dal
senso di appartenenza al sodalizio vantato dall’ex detenuto e dalla
consapevolezza, già esistente precedentemente alla “pausa detentiva”, in capo
all’associato, del pericolo che l’attività criminosa avrebbe potuto dare
origine a tali fenomeni carcerari, che sarebbero stati superati dal
mantenimento del proposito di conferire la propria disponibilità al già
costituito pactum sceleris. Per
quanto concerne il sequestro di persona, invece, ci si immagini il caso in cui
il sequestrato scappi, sottraendosi completamente alla vigilanza e al controllo
coercitivo del sequestratore, il quale però, fortuitamente ritrova il
sequestrato e lo “risequestra”. Anche in tale ipotesi si può parlare di
possibile continuazione, qualora siano presenti i requisiti giuridici relativi
al reato continuato. Altre questioni sono sorte intorno al reato permanente, e
segnatamente: 1) se il reato omissivo sia reato permanente e, 2) il discrimine tra favoreggiamento
personale e concorso di persone. La prima questione ha ricevuto risposte diverse
da varie parti della dottrina. Alcuni Autori ritengono che, per comprendere se
il reato omissivo sia permanente, si debba verificare se, dopo l’omissione,
permanga un interesse del soggetto passivo (o in mancanza, dell’ordinamento
giuridico) a che l’azione sia ancora compiuta: se il vaglio riceve risposta
positiva, il reato è permanente, altrimenti sarà istantaneo. Dottrina più
attenta sottolinea la necessità di fare riferimento al termine ultimo
consentito dalla legge al garante: se il termine è perentorio il reato omissivo
non potrà che essere istantaneo; se il termine è ordinatorio, dovrà svolgersi
il vaglio di cui si discorreva precedentemente. Riguardo alla possibilità di
avere favoreggiamento personale o concorso di persone nel reato permanente, bisogna
svolgere alcune considerazioni. Il favoreggiamento personale si ha quando
l’agente “dopo che fu commesso un delitto” (art. 378 c.p.) aiuta taluno a
sottrarsi alle ricerche dell’Autorità inquirente. Solo la comprensione del
termine “commesso” ci spianerà le porte verso una soluzione della questione.
Come sappiamo, esistono due momenti utili in tema di esecuzione del reato: il
perfezionamento e la consumazione (si veda par.
1). Risulta agevole comprendere che l’antigiuridicità della condotta
subisce un’escalation, nei reati permanenti, tra il primo e il secondo momento.
Se per “commissione” intendiamo il perfezionamento, la condotta di
favoreggiamento può avvenire quando lo stato di antigiuridicità non è ancora
rimosso mentre, se per “commissione” intendiamo la consumazione, il
favoreggiamento può esistere solo dopo la rimozione dell’illiceità della
condotta. Abbracciando la prima tesi, si pone il problema di reperire il
discrimine tra concorso di persone nel reato e favoreggiamento. Si reputa che
il criterio più adatto sia il controllo sull’elemento soggettivo: se l’agente
tiene una condotta volta al protrarsi del reato permanente (e quindi il suo
fine è la prosecuzione e il rafforzamento del crimine), si deve ammettere il
concorso di persone nel reato e la punizione ex art. 110, o in base alla norma
sull’eventuale reato plurisoggettivo. Se il fine è quello di aiutare l’altro a
non essere rintracciato dall’Autorità, allora il suo fine non è tanto rivolto
alla buona riuscita del crimine, quanto alla protezione e all’impunità
dell’agente. Si avrà in tal caso favoreggiamento personale.
Trovandoci in tema di reato
continuato, si può sottolineare quindi la differenza sostanziale tra questo
e il reato permanente: si tratta della costanza della condotta antigiuridica.
Nel reato permanente lo stato di illiceità non è mai rimosso, mentre il reato
continuato, proponendo un regime sanzionatorio quoad poenam che si applica al fenomeno del concorso materiale di
reati, già presuppone che si verifichino vari reati distaccati nel tempo, e a
se stanti.
Altro reato che presenta connotati-limite con il reato continuato
è il reato abituale, che si
distingue sia dal primo che dal reato permanente. Il reato abituale è integrato
da varie condotte, le quali, verificandosi, danno vita ad un autonomo titolo di
reato. Ciò vuol dire che, pur essendo le condotte multiple, e appartenenti ad
un certo tipo, costituiscono un singolo reato. Il reato abituale è “sistemico”,
cioè si integra attraverso una sommatoria di atti che danno origine ad un
sistema di condotte, una volta verificatesi le quali può dirsi offeso il bene
giuridico di riferimento. Il reato abituale può essere proprio o improprio. E’
improprio quando le condotte singolarmente intese, prima di dare origine al
sistema punibile, sono già autonomamente illeciti penali. Questo è molto
rilevante, laddove si comprende che la reiterazione di condotte già di per sé
punibili, daranno origine al concorso materiale di reati (eventualmente
considerando la continuazione) laddove non raggiungano il livello di reato
abituale, mentre tale concorso materiale sarebbe sostituito dal reato abituale
stesso, laddove esso si verifichi. E’ importante quindi, ai fini
dell’integrazione di tale tipo di reato, che la reiterazione delle condotte
raggiunga una stabilità nella costanza, dal punto di vista oggettivo, e una
consapevolezza che ogni condotta si aggiunga alle precedenti, dal punto di vista
soggettivo.
Se parliamo invece di reato abituale proprio, le singole condotte
saranno di per sé irrilevanti penalmente, finché verrà integrato quel “sistema
nefasto” che l’ordinamento vieta. Un esempio di reato abituale improprio è la
relazione incestuosa, che si compone di costanti condotte incestuose, di per sé
punibili. Un reato abituale proprio invece è quello dei maltrattamenti in
famiglia, che può verificarsi anche laddove un soggetto tratti in maniera
degradante e vessatoria un’altra persona del nucleo famigliare senza che i
singoli comportamenti rientrino perfettamente in ipotesi di reato, ma che
cumulandosi raggiungano quell’effetto esasperante, denigrante, emarginante,
richiesto ai fini del perfezionamento del reato di cui all’art. 572 cod. pen.
Si discute, invece, sulla natura di reato abituale del favoreggiamento della
prostituzione. Dottrina e giurisprudenza si collocano su posizioni antitetiche.
La prima (MANTOVANI, ANTOLISEI) rivendica l’abitualità del reato, mentre la
seconda si accontenta anche del singolo comportamento agevolatore del
meretricio. Il reato abituale, sintetizzando, si distingue dal reato continuato
poiché il primo è un reato unico, anche quando deriva dalla reiterazione di più
condotte già di per sé illecite, mentre il secondo mantiene la struttura
particellare poiché è un concorso materiale di reati punito eccezionalmente col
regime del cumulo giuridico. Inoltre è possibile sottolineare anche una
ulteriore differenza relativa all’elemento soggettivo: il reato abituale si “accontenta”
di un elemento soggettivo che sussista nel momento delle varie condotte
reiterate. Non è necessario che il soggetto agente sin dall’inizio intenda
commettere il reato abituale, quanto che si arrivi al perfezionamento del
“sistema” criminoso attraverso la consapevolezza, durante ogni condotta
costitutiva del reato, che tale condotta si aggiunge alle altre precedenti. Il
reato continuato si fonda invece sul principio opposto: pur dovendosi innestare
la volontà su ogni reato singolarmente e di volta in volta commesso, si
necessita del disegno criminoso antecedente. Ciò vuol dire che l’agente deve
immaginare, già prima del compimento del primo reato, che egli compierà vari
reati in virtù del medesimo fine e sorretti da elementi già almeno genericamente
inquadrati sin dall’inizio. Tale anticipazione mentale concerne sia l’elemento
rappresentativo che l’elemento volitivo, ma quest’ultimo deve poi “rinnovarsi”
in occasione del compimento di ciascun reato esecutivo del programma iniziale.
Il reato abituale, in secondo luogo, si distingue dal reato permanente perché
nel secondo lo stato di illiceità è costante, mentre nel primo si potrebbero
tanto avere più condotte pseudo-illecite, che quindi non generano affatto
l’antigiuridicità finché non integrano il reato abituale, quanto si potrebbero
avere varie condotte già illecite che parimenti integrano solo una reiterazione
di crimini, con pause di normalità, senza che lo stato di illiceità sia
costante. In comune avrebbero la caratteristica dell’unicità del reato, poiché
tanto nel reato abituale quanto nel reato permanente non si assiste alla
verificazione di più reati, quanto alla concretizzazione di un reato unico.
Onde sgomberare il campo da dubbi legittimi, si deve rendere conto anche di
quanto avviene nel caso del reato abituale improprio non perfezionato. In tal
caso, seguendo quanto abbiamo detto, si sarebbero verificate più condotte già
di per sé illecite che non hanno raggiunto una reiterazione significativa tanto
da far scattare il perfezionamento del reato abituale. Ebbene, la soluzione si
palesa agevole: l’agente verrà punito per un concorso materiale di reati
eventualmente avvinti dal medesimo disegno criminoso e quindi puniti ex art. 81
comma II (reato continuato).
Resta da chiarire quali siano i caratteri delle seguenti categorie
di reato: istantaneo ad effetti
permanenti, eventualmente permanente, a consumazione prolungata (o ad
esecuzione frazionata). Trattasi di categorie suggerite dalla dottrina ma
che non hanno una rilevanza pratica evidente. Il reato istantaneo è
riconosciuto come avente effetti permanenti quando le conseguenze del reato si
distribuiscono nel tempo. Si immagini una invalidità conseguente al reato di
lesioni. Il reato eventualmente permanente si avrebbe, invece, nel caso in cui
una norma incriminatrice non disciplini un reato permanente ma sia il soggetto
agente a mantenere lo stato di antigiuridicità, relativa a quel reato, costante
nel tempo.
La categoria più problematica è quella dei reati frazionati (o ad
esecuzione frazionata, o a consumazione prolungata). A ben vedere, nemmeno in
questo caso siamo dinanzi ad una autonoma categoria di reato, ma più che altro
ci troviamo dinanzi ad una particolarità che alcuni reati possono presentare:
l’esecuzione frazionata, appunto. L’esecuzione si dice frazionata quando è
suddivisa in frangenti, ognuno dei quali si aggiunge a quello precedente al
fine di “comporre” la condotta richiesta dal tenore letterale della norma per la
configurabilità del reato. Si faccia riferimento all’omicidio attraverso
dosaggi frequenti di veleno alla persona costretta su un letto di ospedale:
ogni goccia di veleno somministrata aggiunge offensività al bene vita,
procurando, a sommatoria avvenuta, la morte della vittima. La caratteristica
dei reati frazionati è, quindi, quella di non essere permanenti, bensì
istantanei, seppur in un’accezione lievemente diversa da quella a cui si è
abituati. Normalmente i reati istantanei si perfezionano attraverso
un’esecuzione intera che avviene in un momento preciso, in maniera complessiva,
e non suddivisa in fasi. Le fasi che invece caratterizzano il reato frazionato
non devono trarre in inganno. In effetti anche il reato frazionato è un reato
istantaneo, poiché la norma incriminatrice sarà integrata a condotta avvenuta,
quindi con il compimento dell’ultimo atto da cui scaturisce l’evento punito. In
tale ultimo istante il reato è perfezionato e, contemporaneamente, è rimosso lo
stato di antigiuridicità (quindi si verifica anche la consumazione), proprio
come avviene per qualsiasi reato istantaneo. A parte i casi in cui l’evento può
essere, per propria particolare natura (esempio: morte) raggiunto attraverso
varie fasi più o meno distanti nel tempo, ci sono due reati che sono stati ufficialmente
“battezzati” come possibili reati frazionati dalla Corte di Cassazione: il
reato di cui all’art. 640 bis c.p. ( Truffa aggravata per il conseguimento di
erogazioni pubbliche) e quello ex art. 644 c.p. ( Usura). Reati di tale tipo
consentono facilmente di rintracciare in essi elementi di poliedricità, in
grado di farli apparire, a seconda delle circostanze, come reati frazionati, e
la ragione è di facile comprensione: si tratta di reati che sono integrati
attraverso la dazione di somme di denaro. Tale dazione proviene in entrambi i
casi dal soggetto passivo, e può frazionarsi
in varie erogazioni che si susseguono nel tempo, e che dipendono dalla condotta
illecita dell’agente.
In particolare, più teorie si contendevano il campo nel tentativo
di definire il reato di usura. Se ne fornisce un elenco: 1) reato istantaneo ad
effetti eventualmente permanenti; 2) reato eventualmente permanente; 3) reato
permanente; 4) reato frazionato. La prima teoria troverebbe il proprio
precipitato fattuale nel caso in cui vi sia il mero accordo sull’erogazione del
denaro dietro ritorno di capitale e interessi usurari o nel caso, di poco
dissimile, in cui vi sia accordo e cessione della somma, in entrambi i casi con
rateizzazione del ritorno di capitale e interessi usurari. La seconda teoria,
quella della natura di reato eventualmente permanente, si cristallizzerebbe nei
medesimi casi, ma con la differenza che, secondo i sostenitori di tale
concezione, si avrebbe il costante stato di antigiuridicità derivante dal fatto
che il soggetto agente non rifiuta, nel tempo, il pagamento altrui avente ad
oggetto gli interessi usurari. La protrazione nel tempo di tale illiceità,
configurerebbe la costanza dell’offesa al bene giuridico protetto, la quale è
requisito del reato permanente. Il reato sarebbe “eventualmente” permanente
poiché potrebbe anche non verificarsi la rateizzazione del pagamento di
capitale e interessi, i quali potrebbero essere restituiti in un’unica
soluzione. Secondo parte della dottrina, invece, si tratterebbe in realtà di un
vero e proprio reato permanente, e ciò verrebbe dedotto dalla presenza
dell’art. 644 ter c.p., che fa decorrere il termine di prescrizione del reato
dal giorno dell’ultima riscossione di interessi e capitale. Ciò indurrebbe a
pensare che far decorrere il termine di prescrizione non dal perfezionamento
(accordo, o accordo e dazione) ma dalla consumazione (ritorno delle somme
all’usuraio) avvicini la natura del reato di usura a quella del reato permanente,
in cui assistiamo alla medesima disciplina giuridica. Di contrario avviso è la
Corte di Cassazione, la quale nota come, se il reato fosse stato un vero e
proprio reato permanente, sarebbe bastato l’articolo 158 c.p. a dettare il
termine di prescrizione. L’aver previsto, il Legislatore, una norma apposita,
vorrebbe dire che non ci si trova dinanzi ad un reato di tal tipo. La stessa
Suprema Corte ha quindi riconosciuto la presenza dell’esecuzione frazionata,
nel senso che essa ha intuito come il perfezionamento del reato si avrebbe,
come nel caso di qualsiasi reato istantaneo, con la fine dell’esecuzione, e
cioè con la ricezione da parte dell’agente, di capitale più interessi usurari e
non con il mero accordo, seppur accompagnato dalla dazione della somma prestata
alla vittima.
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