CASSAZIONE
PENALE – Sez. IV – 14 febbraio 2013 n. 9172 – Pres. Brusco – Est. Dovere – (Annullamento
con rinvio, GDP di Lovere, 1 giugno 2012, n. 16/2010).
Delitti
contro la persona – Lesioni personali colpose – Circolazione stradale – Malore
improvviso e colpo di sonno – Vizio di mente.
Il malore improvviso, ancorché riconducibile al colpo di sonno cd.
“patologico”, costituisce uno stato morboso integrante un vizio di mente ex
art. 88 c.p., non invece circostanza di caso fortuito, idonea ex se a spezzare la
concatenazione causale legata all’evento di reato ovvero ad escluderne la
punibilità. Ne consegue per il giudice di valutare in termini di suitas,
basandosi su elementi concreti, la prevedibilità ed evitabilità della condotta
delittuosa o dei fattori causali intercorsi, ovvero l’eventuale sussistenza di
fattori imprevedibili ed inevitabili, tali da escludere coscienza e volontà
dell’azione. (Fattispecie
relativa ad un delitto di lesioni colpose da incidente automobilistico, nel
quale il giudice aveva ipotizzato la sussistenza di malore improvviso o colpo
di sonno per il conducente imputato, sulla scorta delle indicazioni peritali,
senza tuttavia argomentare concretamente in merito all’imprevedibilità ed inevitabilità
dell’accidente).
MALORI
IMPROVVISI E COLPI DI SONNO PATOLOGICI:
TRA
CASO FORTUITO ED INFERMITA’
(Francesco
Sollazzo)
1.
Premessa. – 2. Caso fortuito nei reati stradali. La Cassazione sul malore
improvviso. – 3. Il versante probatorio. – 4. Conclusioni.
1. PREMESSA.
La pronuncia di
legittimità in commento, nell’affrontare gli scottanti e rilevantissimi
problemi sistematico-giuridici legati ai cosiddetti “reati della strada”,
consente di far luce in modo chiaro e preciso sulla collocazione concettuale
delle evenienze legate a malore alla guida, nonché relativamente all’onere
probatorio ed al suo bilanciamento tra le parti processuali.
La prima questione
concerne l’eventuale possibilità di annoverare o meno le situazioni di malore
improvviso del conducente, nell’ambito dei quali sono compresi i comuni “colpi
di sonno”, all’ampia categoria del caso fortuito di cui all’art. 45 c.p.
Dall’inquadramento sistematico poi, ne scaturiscono diversi effetti in termini
di onere probatorio e susseguente quantum.
2. CASO FORTUITO NEI REATI
STRADALI. LA CASSAZIONE SUL
MALORE IMPROVVISO.
Senza voler
minimamente sconfinare in una trattazione manualistica, pare indispensabile in
prima battuta chiarire le basi del concetto di “caso fortuito”, rapportandolo
nei contesti legati ai reati alla guida.
Ancorché datata,
emblematica pare in tal senso la definizione giurisprudenziale che configura il
caso fortuito quale “”quid”
imponderabile, imprevisto ed imprevedibile inseritosi improvvisamente
nell’azione del soggetto soverchiando ogni sua possibilità di contrasto, tale
da rendere fatale il compiersi dell’evento[1]”.
Indispensabile
quindi che, ai fini del caso fortuito, l’accadimento estraneo alla condotta del
soggetto e che s’inserisce nella concatenazione causale dell’azione,
costituisca un accidente totalmente imprevedibile ed incontrollabile, avverso
il quale il soggetto stesso non possa porre in essere alcuna condotta
alternativa o strumentale ad evitare o attenuare il pericolo stesso.
Quanto detto, ci
induce a considerare il caso fortuito in posizione diametralmente antitetica
rispetto alla concezione di colpa, giacché “non
costituisce caso fortuito, tale da escludere la punibilità dell’agente, quello
cui l’agente stesso abbia dato causa, con la sua condotta negligente o imprudente[2]”,
e dunque “se l’accadimento, pur se
eccezionale, ben poteva in concreto essere previsto ed evitato, non è possibile
parlare di caso fortuito in senso tecnico[3]”.
A livello di
teoria generale, nell’ambito della contrapposizione ermeneutica sull’istituto
tra un’accezione prettamente oggettiva, quale serie d’eventi idonei ad
escludere il nesso di causalità[4],
e soggettiva quale causa d’esclusione della colpevolezza[5], la giurisprudenza di legittimità, pur senza
disconoscere i riverberi degli eventi fortuiti a livello già di tipicità[6],
propende per la prima tesi, la quale, lasciando intatto il contributo causale meramente
fisico dell’agente, scrimina a livello di suitas[7].
Nella casistica
dei reati stradali alla guida, la giurisprudenza della Cassazione si è
dimostrata abbastanza selettiva nel riconoscere la scriminante del caso
fortuito, esaltando così il reciproco concetto della prevedibilità ed
evitabilità dell’accidente intercorso. Nello specifico, sono stati ritenuti non
fortuiti accadimenti quali: l’abbagliamento di un fulmine[8]
ovvero dei raggi solari[9];
strada sdrucciolevole[10];
afflosciamento di uno pneumatico già abbondantemente usurato[11]
ed in generale i guasti al veicolo dovuti a negligenza[12];
spegnimento della pubblica illuminazione[13].
Nelle evenienze di
negligenza altrui sovente si nega il caso fortuito, sull’assunto che il
conducente debba adottare altresì quelle cautele idonee a prevedere e prevenire
i possibili comportamenti colposi d’altri[14],
specialmente quando “l’imminenza e la gravità di una situazione
di pericolo sia percepibile con estrema facilità, chiarezza e prevedibilità e
possa conseguentemente essere evitata con diligenza anche minima[15]”;
tuttavia qualora la manovra d’emergenza risulti necessitata, l’eventuale evento
delittuoso cagionato dall’infruttuoso compimento della stessa rientra nella categoria
del fortuito[16].
Discorsi peculiari
vanno fatti per le patologie intercorse alla guida ed il comune “colpo di
sonno”. Una prima delimitazione in negativo dell’ambito relativo al caso
fortuito, concerne tutte quelle situazioni legate a cause fisiologiche o di
preesistente conoscibilità, le quali giammai potrebbero annoverarsi tra le
evenienze fortuite[17],
bensì rilevano in tema di colpa cosciente ovvero dolo eventuale.
Astrattamente
riconducibili al caso fortuito, sono allora esclusivamente quei malori e colpi
di sonno “patologici”, vale a dire alterazioni funzionali del tutto repentine
ed imprevedibili[18]. Nonostante
la confacenza di simili situazioni alla disciplina dell’art. 45 c.p., sostenuta
peraltro da una giurisprudenza di legittimità ormai minoritaria e risalente[19],
la sentenza in esame si colloca lungo un filone consolidatosi in seno alle
Sezioni Unite nel 1980[20],
teso ad escludere per questi stati patologici improvvisi il caso fortuito,
ricollocandoli tra i vizi totali di mente di cui all’art. 88 c.p. e rilevando
già sotto il profilo dell’imputabilità.
L’iter logico-giuridico della pronuncia in
commento, rileva come le situazioni di caso fortuito presuppongano
ontologicamente un’azione umana
cosciente e volontaria[21],
a differenza dello stato patologico improvviso, il quale minando la coscienza
dell’azione “spezza il collegamento tra
il comportamento del soggetto medesimo e le funzioni psichiche che allo stesso
presiedono”, provocando così movimenti o inerzie del tutto svincolate dal requisito
minimo d’imputabilità di cui all’art. 42 co.1 c.p.[22].
3. IL VERSANTE PROBATORIO.
Considerare colpi
di sonno patologici et similia quali
elementi rilevanti in punto d’imputabilità (e segnatamente riguardo a coscienza
e volontà dell’azione), anziché evenienze fortuite, comporta differenti distribuzioni
degli oneri probatori. Infatti, qualora tali condizioni fisiche venissero
interpretate sotto quest’ultima ottica, e ricondotte pertanto nell’ambito delle
cause di esclusione della colpevolezza (secondo la concezione prevalente in
giurisprudenza per il caso fortuito), malori e colpi di sonno patologici
dovrebbero esser provati a pieno, e tale onere spetterebbe esclusivamente in carico
alla parte eccepente, poiché elementi negativi del reato. Al contrario,
ponendosi nella prospettiva ermeneutica della sentenza in commento, queste
situazioni riguardano elementi costitutivi del reato, involvendo la suitas della condotta, pertanto gli
stessi sono a carico probatorio dell’accusa, e qualora non fossero pienamente
comprovati, l’imputato andrebbe assolto con formula dubitativa ai sensi
dell’art. 530 cpv. c.p.p.
Una volta chiarito
che spetta al giudice vagliare la sussistenza di tali stati nell’ambito della
verificazione in punto di coscienza e volontà della condotta, è pur sempre
buona deontologia difensiva quella di eccepire la circostanza d’incapacità, la
quale, se confutata oltre il “ragionevole dubbio” perfezionerà la fattispecie
delittuosa, in caso contrario si addiverrà alla pronuncia ricordata al
capoverso precedente.
Ai fini assolutori
quindi, è sufficiente una mera prospettazione di malore improvviso o
necessitato un quid pluris probatorio?
Sul
quesito gli ermellini si mostrano fedeli ad un solco giurisprudenziale di
legittimità univoco, propendendo per la seconda soluzione, tesa a garantire un quantum di prova concreto e specifico e
giammai astratto. In questo senso, affinché il giudice possa valutare lo stato
d’incapacità e quello d’efficienza del
veicolo, non è sufficiente la mera formulazione d’ipotesi astratte; pertanto in
“assenza di elementi concreti capaci di
renderla [l’eccezione relativa agli stati de quibus] plausibile (ad
esempio l’età e le condizioni psicofisiche dell’imputato)[23]”,
ed in “presenza di risultanze inequivoche
confortanti la colpevolezza, deve presumersi che la condotta del soggetto,
normalmente capace, sia riferibile ad un’azione cosciente e volontaria e,
quindi, liberamente determinata[24]”.
4. CONCLUSIONI.
Collocati
concettualmente colpi di sonno patologici e malori improvvisi, e delineatone
l’aspetto quantitativo nella loro prova, la Cassazione annulla con
rinvio la sentenza impugnata. Il giudice di prime cure, infatti avrebbe preso
in considerazione delle circostanze ipotetiche ed inidonee a configurare
quantomeno il “ragionevole dubbio” ai fini della sua decisione assolutoria. Gli
elementi addotti in motivazione deponevano verosimilmente per una situazione di
colpo di sonno, la quale non scrimina in tal senso se non nella sua ipotesi
“patologica”, quest’ultima però doveva esser provata in maniera più specifica e
definita.
[1] Cass. Pen., 25 mar. 1988, RP,
1989, 1218.
[2] Cass. Pen., Sez. IV, 17 set.
2009, n. 44548.
[3] Cass. Pen., Sez. III, 18 dic.
1997, n. 1814.
[4] Mantovani, Diritto penale, IV ed., Cedam, 2001, 159 ss.
[5] Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, XV ed., Giuffrè, 2000,
383 ss.
[6] Cass. Pen., S.U., 14 giu. 1980,
n. 12093.
[7] Salomonica in tal senso, Cass.
Pen., Sez. IV, 17 ott. 2007, n. 5096.
[8]
Cass. Pen., Sez. IV, 2 mar.
1982, n. 11997.
[9]
Cass. Pen., Sez. IV, 16
giu. 1992, n. 8928.
[10] Cass. Pen., Sez. IV, 15 mar.
2007, n. 19373.
[11] Cass. Pen., Sez. IV, 2 mag. 1983,
n. 3988.
[12] Cass. Pen., Sez. 15 giu. 1981 n.
5866.
[13] Cass. Pen., Sez. IV, 9 giu. 1982;
n. 720.
[14] Cass. Pen., Sez. IV, 17 apr.
1981, n. 3462; id., Cass. Pen., Sez.
IV, 1 apr. 1982 n. 3506.
[15] Cass. Pen., Sez. IV, 26 mar.
2010, n. 19630.
[16] Cass. Pen., Sez. IV, 24 giu.
2008, n. 29442.
[17] Cass. Pen., Sez. IV, 9 nov. 1989,
n. 459.
[18]
Cass., n. 12093/1980, cit..
[19]
Cass., n. 459/1989, cit.
[20]
Cass., n. 12093/1980, cit.
[21]
Cass. Pen., Sez. IV, 30
ott. 2001, n. 41097.
[22]
Analogamente Cass. Pen., Sez.
IV, 29 lug. 2004, n. 32931.
[23]
Cass., n. 41097/2001, cit.;
id., Cass., n. 32931/2004, cit.
[24]
Cass. Pen., 12 giu. 1991,
n. 12149.
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