CORTE DI CASSAZIONE – Sez. II penale
– 14 gennaio 2013 n. 1630 – Pres. Macchia – Est. Rago.
Invasione di
terreni o edifici – Arbitrarietà dell'invasione – Modalità violente dell'azione – Irrilevanza –
Dolo specifico - Perseguimento di scopo sociale – Sussistenza.
L'art. 633
c.p. richiede, ai fini della realizzazione della condotta tipica del reato di
invasione di terreni od edifici, che l'introduzione nel fondo altrui sia
caratterizzato dall'elemento dell'arbitrarietà, ossia si ponga contra ius,
in quanto priva di qualsiasi titolo legittimante, pur non necessariamente
accompagnata da modalità violente, e sia sorretta dal dolo specifico
dell'occupazione ovvero, alternativamente, del conseguimento di altro profitto
o generica utilità anche non patrimoniale; pertanto, deve ritenersi sussistente
il reato de quo nella condotta di chi si introduce nell'immobile altrui senza
alcuna autorizzazione e senza il consenso dell'avente diritto, sia pure in
assenza di modalità violente e di intenzioni ostili, non al fine di occuparlo,
ma di ricavarne un' utilità consistente nel perseguimento di uno scopo sociale
- dimostrativo.
Interruzione
di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità - Elemento oggettivo del reato – Interruzione e
turbativa – Alternatività – Carattere temporaneo e parziale dell'interruzione –
Sufficienza.
La ratio
dell'art. 340 c.p. deve individuarsi nella necessità di tutelare non solo
l'effettivo funzionamento di un servizio pubblico o di pubblica necessità ma
anche il suo regolare ed ordinato
svolgimento, assoggettando a sanzione sia la condotta consistente
nell'interruzione dell' ufficio o servizio di entità e durata tale da turbarne
la regolarità, sia la turbativa idonea a determinare un un'interruzione o un
impedimento, sia pure temporanei e parziali, delle attività; pertanto, deve
ritenersi punibile ai sensi della norma in parola anche la turbativa che si
traduca in una alterazione temporanea, purchè oggettivamente apprezzabile,
della regolarità o continuità di un singolo settore o di una singola funzione
dell'ufficio o servizio e che non ne coinvolga l'operatività globale e
complessiva, in quanto condotta ideonea a ledere il bene giuridico
dell'ordinato svolgimento del pubblico ufficio o servizio.
Considerazioni
dell’avv. Amalia Spatuzzi
Con la sentenza
in commento la Suprema Corte si pronuncia in ordine all'esatta individuazione
degli elementi costitutivi di due distinte fattispecie incriminatrici: quella
di '"invasione di terreni ed edifici", di cui all'art. 633
c.p. e quella di "interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di
un servizio di pubblica necessità", ex art. 340 c.p.
Il Giudice di
prime cure ed il Giudice d' appello avevano infatti ritenuto sussistenti i
reati in esame nella condotta di alcuni cittadini i quali, in orario d'ufficio,
si erano introdotti nella sede del Magistrato delle Acque di Venezia, per
finalità dimostrative, barricandosi all'interno dei locali degli stessi uffici,
muniti di megafono e striscioni, impedendo l'accesso ad altri soggetti e
compromettendo in tal modo il regolare svolgimento dell'attività lavorativa
degli impiegati ivi presenti.
Con uno dei
motivi di impugnazione, i ricorrenti deducono l'inosservanza ed erronea
applicazione dell'art. 633 c.p., per avere la Corte d'Appello di Venezia da un
lato erroneamente interpretato la nozione di "invasione" contemplata
dalla norma in parola – si era infatti accertato che la condotta degli imputati
non si era estrinsecata in un'irruzione violenta nei predetti uffici -
dall'altro ritenuto integrato l'elemento soggettivo del dolo specifico
richiesto dal legislatore (fine di occupar[e i terreni o gli edifici] o di
trarne altrimenti profitto), nonostante dall'istruttoria dibattimentale
fosse incontrovertibilmente emerso che i manifestanti avevano posto in essere
un'iniziativa simbolica, dimostrativa ed essenzialmente pacifica, finalizzata
ad ottenere un contraddittorio con le autorità pubbliche.
Per quanto
attiene all'elemento materiale del reato de quo, gli Ermellini
sottolineano – richiamando altresì una serie corposa di propri precedenti[1]
- che la nozione di "invasione" si caratterizza non per l'aspetto
violento della condotta, bensì per la sua arbitrarietà, per il suo porsi contra
ius, se ed in quanto colui che si introduce nell'immobile altrui sia
privo del diritto d'accesso (derivante dal consenso dell'avente diritto, da una
norma giuridica o da un'autorizzazione dell'autorità competente). Come
autorevole dottrina[2] ha
rilevato, dunque, il termine "invasione" dev'essere inteso quale
sinonimo qualificato di "introduzione", la quale peraltro deve
configurarsi non solo priva di titolo giustificativo e spazialmente riconnessa
ad un altrui bene, ma connotata anche da un ulteriore elemento caratterizzante,
ravvisabile nell'effettiva turbativa del godimento altrui del bene. L'interesse
protetto dalla norma in esame consiste infatti in quel rapporto di fatto sulla res,
esercitato sia dal proprietario che da terzi, riconducibile alla nozione di
"possesso" di cui all'art. 1140 c.c. Ne consegue che la condotta
tipica sanzionata deve individuarsi nell'arbitraria introduzione nel terreno o
edificio altrui, allo scopo di esercitare sullo stesso un rapporto di fatto che
escluda in tutto o in parte quello preesistente riguardante altra persona[3],
dal quale il soggetto agente possa trarre un qualsiasi profitto, a nulla
rilevando le modalità, violente o meno, con cui si attua la condotta vietata
(sebbene tale interpretazione sembri porsi in contrasto con la collocazione
sistematica della presente fattispecie di reato, inserita dal legislatore nel
capo I del titolo XIII del libro II del codice penale, dedicato ai
"Delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle
persone").
Parimenti, per
la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo specifico, il legislatore richiede
alternativamente la finalità dell'occupazione ovvero del conseguimento di altra
utilità: quest'ultima, come la Suprema Corte ha più volte precisato[4],
non deve necessariamente identificarsi in un'utilità di natura strettamente
patrimoniale, potendo altresì consistere in uno scopo di particolare valore
morale e sociale, in una qualsiasi utilità diretta o indiretta anche di ordine
morale, ivi compresa la finalità dimostrativa (come nel caso di specie).
Sulla base di
queste considerazioni, la Corte di Cassazione dichiara pertanto infondata
l'esaminata doglianza.
Ad analoga
conclusione i giudici di legittimità pervengono con riferimento all'ulteriore
motivo di impugnazione proposto dai ricorrenti, relativo alla violazione ed
erronea applicazione dell'art. 340 c.p. Il giudice di merito aveva ravvisato,
in punto di fatto, tanto l'elemento dell'interruzione quanto quello della
turbativa dell'ufficio o servizio pubblico nella condotta degli occupanti, che
aveva determinato un'interruzione dell'attività lavorativa dell'ufficio della
Magistratura delle Acque, costringendo gli impiegati presenti a sgomberare
parte dell'edificio prima del normale orario di chiusura, a seguito
dell'intervento della forza pubblica.
Ebbene, la
Suprema Corte preliminarmente rileva come il reato di "interruzione di
un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità" sia
ravvisabile sia nella condotta di chi cagiona un'interruzione sia in quella di
chi turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica
necessità: le due ipotesi, alternative, secondo la giurisprudenza devono
ritenersi equivalenti, nel senso che "l'interruzione deve essere tale da
turbare la regolarità dell'ufficio o servizio e la turbativa si realizza anche
con un'interruzione, purchè di entità e durata tale da determinarla" (si
veda: Cass. Pen., sent. n. 33062/2003, rv. 226662).
Ciò premesso, i
giudici della II sezione penale della Corte di Cassazione affermano di non
condividere quell'orientamento, pur manifestatosi all'interno della stessa
giurisprudenza di legittimità[5]
(e su cui si fonda la tesi difensiva), in base al quale ai fini della
configurabilità del reato in esame è necessario che il turbamento della
regolarità dell'ufficio si manifesti in forma di alterazione del funzionamento,
ancorchè temporanea, dell'ufficio o servizio intesa nel suo complesso, e non di
alterazione di una singola funzione o prestazione "rapportata ad un
determinato momento che, in quanto tale, non ha alcuna incidenza negativa di
apprezzabile valore sulla concreta operatività globale dell'ufficio o del
servizio". Tale interpretazione riduttiva, infatti, finirebbe col
conferire una tutela solo parziale al bene protetto dalla norma incriminatrice:
al contrario, dal momento che la ratio dell'art. 340 c.p. deve individuarsi
nella necessità di tutelare non solo l'effettivo funzionamento di un servizio
pubblico o di pubblica necessità ma anche il suo regolare ed ordinato svolgimento, è sufficiente – per realizzare
la fattispecie de qua – che la turbativa si traduca in una alterazione
temporanea, purchè oggettivamente apprezzabile, della regolarità o continuità
anche di un singolo settore o di una singola funzione dell'ufficio o servizio
ovvero di una singola prestazione, pur senza coinvolgere l'operatività globale o
la totalità delle attività. Secondo la Suprema Corte, in conclusione, anche
disfunzioni parziali e limitate di un singolo settore di un ufficio o di un
servizio, che non pregiudicano la regolarità del suo funzionamento complessivo,
sono idonee a costituire offesa al bene giuridico tutelato dalla specifica
norma in esame.
[1] Si vedano, ex multis: Cass. Pen., sent. n.
8107/2000, rv.216525; n. 49169/2003, rv. 227692; n. 15610/2006, rv. 233970.
[2] Fiore S., I reati contro il patrimonio,
Utet giuridica, 2010.
[3] Crespi - Forti - Zuccalà, Commentario
breve al Codice Penale, CEDAM, 2010.
[4] Si vedano, a titolo esemplificativo: Cass.
Pen., sez. II, n. 8107/2000, rv. 216525 e Cass. Pen., sez. VI, n. 1763/2003
[5] Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 35399/2006,
rv. 235196; sez. VI, n. 15750/2003; sez. VI, n. 2723/1997.
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