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Preliminarmente e con riferimento alla generale responsabilità monosoggettiva del sanitario, nel caso di morte o lesione del paziente, i criteri mediante i quali si possa ritenere comprovato il nesso di causalità (art. 40 codice penale) tra la condotta omissiva del medico e l’evento, sono rinvenibili nei principi affermati dalla celebre sentenza Franzese (Cass. SS.UU.n. 30328/2002).
In particolare, alla luce dell’ormai conclamato principio in essa contenuto, il nesso eziologico tra morte (o lesione del paziente) e condotta omissiva del medico deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica. Sicché, esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo. La causalità va, quindi, apprezzata oltre ogni ragionevole dubbio sulla base delle evidenze ed evenienze processuali.
Ciò premesso, ulteriore passo che ci permetterà poi di addentrarci nella questione della responsabilità medica nelle strutture sanitarie complesse, è una breve analisi delle responsabilità dei sanitari nel caso di attività d’équipe (attività pluri-soggettiva).
Ebbene, in tali casi la questione dell’attribuzione della responsabilità colposa in capo ai singoli medici, va risolta con il c.d. principio dell’affidamento, secondo il quale ciascun membro è tenuto ad osservare scrupolosamente le rispettive regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte dovendo, per il resto, fare affidamento esclusivamente sull’altrui corretto comportamento.
Tuttavia, il suddetto principio incontra un duplice limite.
Il primo, rinvenibile nella circostanza per la quale ciascun membro dell’équipe ha il dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici in modo da porre rimedio ad eventuali errori che, pur se posti in essere da altri, siano evidenti per un professionista medio (quindi non settoriali) (Cass.n. 24036/2004; n. 33619/2006; n. 41317/2007; n. 19755/2009).
Il secondo concerne l’ambito di responsabilità del capo èquipe, il quale risponde non solo del fatto proprio (egli in quanto tale assume una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti) ma anche per il fatto altrui in termini di culpa in eligendo e, soprattutto, culpa in vigilando.
La situazione si complica nel caso in cui la cooperazione multidisciplinare nell’attività medica sia stata svolta dai sanitari non contestualmente, come può essere un’attività d’èquipe, ma in spazi temporali diversi e successivi (c.d. attività complesse).
Ed infatti, qualora più sanitari svolgano il proprio intervento in tempi diversi, il medico che succede ad un collega nel turno assume nei confronti dei pazienti la medesima posizione di garanzia di cui quest’ultimo era titolare. Tale circostanza lo obbliga, pertanto, ad informarsi, dal medico che lo ha preceduto nel turno, circa le condizioni di salute dei pazienti e delle cure di cui necessitano (Cass. n. 8615/2008).
Conseguentemente e sulla base del principio dell’affidamento, in caso di morte del paziente in cura presso una struttura sanitaria complessa, ogni medico operante all’interno di quest’ultima sarebbe responsabile, in termini di colpa, per le eventuali omissioni (improprie) relative all’attività svolta durante il proprio turno.
Con riferimento al Direttore del presidio medico, egli riveste, certamente, una funzione apicale dalla quale deriva una posizione di garanzia che gli attribuisce il dovere di tenere un comportamento diretto a garantire la correttezza delle terapie praticate ai pazienti. Pertanto, non è mai ed in alcun modo esente da responsabilità, quantomeno per il solo fatto di non aver posto in essere un adeguato controllo sui medici operanti all’interno della struttura da lui gestita (culpa in vigilando e in eligendo).
Tuttavia, la più recente giurisprudenza di legittimità, relativamente ai medici turnisti operanti nella struttura sanitaria complessa sembra essere meno rigida in ordine alle rispettive responsabilità.
Ed infatti, ai fini della responsabilità penale dei medici operanti non in posizione apicale all’interno di una struttura sanitaria complessa, la Cassazione si è espressa nel senso che occorre accertare la concreta organizzazione della struttura, con particolare riguardo ai ruoli, alle sfere di competenza e ai poteri-doveri dei medici (Cass. 1866/2009).
Pertanto, ferma restando la responsabilità del Direttore, principale titolare della posizione di garanzia in quanto al vertice di un sistema apicale, la responsabilità dei medici turnisti dipenderà dall’accertamento dei ruoli che rivestono all’interno del presidio medico non potendo, invece, fare applicazione del principio dell’affidamento che caratterizza prevalentemente il caso in cui i medici operino simultaneamente e nello stesso arco temporale.
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