SOLUZIONE PARERE SUL DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE: TRASMISSIONE MALATTIE INFETTIVE.
Cassazione Penale, sez. V, ud. 23.02.2015 dep.
04.06.2015, n. 23992
RITENUTO
IN FATTO
1.
A.C. è stato rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 582
c.p., art. 583 c.p., comma 1, n. 2, e comma 2, n. 1, perchè, essendo affetto da
epatite cronica da virus C ed avendo consapevolezza della propria malattia e
dei relativi metodi di trasmissione, consumando senza alcuna precauzione
plurimi e ripetuti rapporti sessuali con M.S., alla quale taceva le proprie
condizioni di salute nonchè le conseguenze a lui note derivanti da tali
rapporti, cagionava alla stessa lesioni personali (infezione in atto da virus
C) dalla quale derivava una malattia del corpo probabilmente insanabile e,
comunque, l'indebolimento permanente del fegato, organo emuntore unico (tra
(OMISSIS)).
Con
sentenza deliberata in data 19/01/2012, il Giudice dell'udienza preliminare del
Tribunale di Piacenza, all'esito del giudizio abbreviato, dichiarava A.C.
colpevole del reato di cui agli artt. 583 e 590 c.p., così riqualificata
l'originaria imputazione, e condannava l'imputato alla pena di giustizia e al
risarcimento dei danni, da liquidarsi dinanzi al giudice civile, in favore
della parte civile, alla quale veniva concessa una provvisionale.
Investita
degli appelli dell'imputato, del P.M. e della parte civile, la Corte di appello
di Bologna, con sentenza deliberata il 28/11/2013, ha riqualificato il fatto ai
sensi dell'art. 582 c.p., art. 583 c.p., comma 1, n. 2, e comma 2, n. 1, e ha
applicato all'imputato le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle
ritenute circostante aggravanti.
2.
Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Bologna ha proposto
ricorso per cassazione A.C., attraverso il difensore avv. G. Barbieri,
articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173
disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1.
Vizi di motivazione e violazione e/o erronea applicazione degli artt. 192 e 194
c.p.p., nonchè dell'art. 40 c.p., artt. 530 e 533 c.p.p..
La
Corte di appello assume l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della
persona offesa in quanto supportate dalle dichiarazioni di B.E., che ha
riferito di essere a conoscenza della relazione tra l'imputato e la persona
offesa, avendo appreso tale circostanza in quanto di dominio pubblico ed in
forma di pettegolezzo. Erroneamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento
all'art. 192 c.p.p., comma 2, avendo in realtà violato l'art. 194 c.p.p..
Con
riguardo alla prova del nesso causale tra i rapporti sessuali e l'infezione da
epatite C dalla quale risulta affetta la persona offesa, la Corte di appello si
è basata sulla consulenza del P.M., ma ha omesso di esplicitare le ragioni per
le quali ha collocato l'insorgenza della malattia il (OMISSIS), disattendendo
la circostanza che in data 11/08/2009 Impersona offesa risultava negativa al
test qualitativo sull'epatite C. La sentenza impugnata ipotizza l'avvenuta
trasmissione per via sessuale e, dunque, il nesso causale assumendo, in modo
del tutto apodittico, che l'imputato rientri nella categoria di persone che
hanno multipli partner occasionali. La Corte di appello afferma in via
ipotetica che le ragioni del mancato contagio della moglie dell'imputato
possono essere rappresentate dalla mancanza di rapporti sessuali o dal fatto
che questi siano stati "protetti", richiamando il verbale
dell'udienza presidenziale del 23/07/2009 relativo alla separazione personale
dei coniugi, ma omettendo di rilevare come dallo stesso verbale si evinca la
nascita dal matrimonio di due figli in epoca posteriore all'insorgenza
nell'imputato dell'epatite C. 2.2. Vizi di motivazione e violazione e/o erronea
applicazione degli artt. 42 e 42 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 3, art. 582 e
590 c.p., art. 530 e 533 c.p.p..
Nel
ritenere la natura dolosa del fatto, la Corte di appello ha disatteso i più
recenti indirizzi della giurisprudenza di legittimità in ordine ai rapporti tra
dolo eventuale e colpa cosciente, affermando, inoltre, la sussistenza del dolo
eventuale per essersi l'imputato rappresentato il concreto rischio del
verificarsi dell'evento consistito nella trasmissione del virus, laddove
l'evento del reato di lesione deve essere la malattia. La sentenza impugnata
non fornisce motivazione circa la coesistenza e il concorso di lesioni gravi e
di lesioni gravissime e non rende ragione dell'iter argomentativo che ha
condotto la Corte di appello a negare che A., considerati la negatività della
moglie e il suo stato di soggetto affetto da epatite C da circa venti anni ma
senza alcun reale problema di salute ad essa riconducibile, nonchè la limitata
trasmissibilità attraverso rapporti sessuali del virus HCV, non solo potesse
dubitare che da sporadici rapporti in un lasso di tempo limitato potesse
conseguire la trasmissione del virus, ma anzi potesse ragionevolmente escludere
che "quell"'evento-malattia potesse concretamente verificarsi e non
si sia certo "determinato anche a costo di cagionarlo".
CONSIDERATO
IN DIRITTO
1.
Il ricorso deve essere accolto nei limiti di seguito indicati.
2.
Il primo motivo è, nel complesso, infondato.
Come
chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, le regole dettate dall'art. 192
c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le
quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica,
corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso
essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone, mentre nel caso in cui la persona offesa
si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di
tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep.
24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv.
253214).
Nella ricostruzione dei rapporti tra l'imputato e la persona offesa, i giudici
di merito hanno fatto buon governo del principio di diritto richiamato,
valorizzando le dichiarazioni, ritenute intrinsecamente attendibili, della
persona offesa, il cui racconto è stato confermato da ulteriori elementi,
rappresentati non solo dalle dichiarazioni di B.E. (amico dell'imputato), ma anche
dai dati probatori attestanti i pernottamenti dei due presso l'Hotel (OMISSIS)
in almeno due occasioni - il (OMISSIS) - (pernottamenti sui quali l'imputato,
come specificato dalla sentenza di primo grado, non ha fornito alcuna
spiegazione alternativa), rispetto ai quali il ricorso omette il necessario
confronto critico, sicchè, sotto questo profilo, le doglianze del ricorrenti
sono carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate
dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez.
4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
Quanto
al nesso di causalità, la sentenza di primo grado ha richiamato l'insegnamento
delle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui coefficienti medio-bassi di probabilità
c.d.
frequentista
per tipi di evento impongono verifiche attente e puntuali sia della fondatezza
scientifica che della specifica applicabilità nella fattispecie concreta, ma
nulla esclude che anch'essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio
circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti
in via alternativa, "possano essere utilizzati per il riconoscimento
giudiziale del necessario nesso di condizionamento" (Sez. U, n. 30328 del
10/07/2002 - dep. 11/09/2002, Franzese). In questo quadro, le concordi - sul
punto - determinazioni dei giudici di primo e di secondo grado fanno leva sulla
valutazione coordinata di una pluralità di convergenti elementi (tratti, in
particolare, dalla consulenza del pubblico ministero). Prima dell'inizio della
relazione con l'imputato (durante la quale i rapporti sessuali non sono mai
stati accompagnati da presidi di protezione o di prevenzione volti ad evitare
il contagio), la persona offesa (mai informata del rischio infettivo cui era
esposta attraverso i rapporti sessuali con l'imputato) non soffriva di epatite
C, come comprovato dalla documentazione clinica anteriore al ricovero del
(OMISSIS), che attesta l'assenza di agenti biochimici e clinici da infezione da
virus C: è certo, in particolare, che M.S. non aveva l'epatite C alla data del
15/09/2008 (quando si era sottoposta a controlli a causa dell'epilessia di cui
soffriva). L'epatite si è manifestata il (OMISSIS), ossia dopo che la persona
offesa aveva avuto diversi rapporti sessuali con l'imputato, portatore
dell'infezione; l'anamnesi svolta in occasione del ricovero del 01/04/2009 dava
atto della presenza degli indici sintomatici della malattia da circa un mese. I
periodi di incubazione del virus C) coincidono con la durata della relazione:
come osservato dalla consulenza del P.M., il periodo di incubazione
dell'infezione è variabile da due a ventisei settimane dopo il contagio, con un
picco a sette - otto settimane. Il genotipo virale dal quale sono affetti
l'imputato e la persona offesa risulta lo stesso, il che, nella valutazione del
consulente tecnico del P.M., è idoneo a tradurre in termini non solo di elevata
probabilità, ma di relativa certezza la sussistenza del nesso di causalità tra
l'infezione da virus C contratta dalla persona offesa e la sua relazione con
l'imputato. Nel quadro degli elementi appena sintetizzati vanno poi collocati
due ulteriori rilievi dei giudici di merito; per un verso, la sentenza di primo
grado, ha rimarcato come, nel caso concreto, non sia emerso alcun altro
possibile fattore di contagio della persona offesa, mentre, per altro verso, la
Corte di appello ha messo in luce come il giudizio di "improbabilità"
prospettato dai consulenti dell'imputato risulti fondato su premesse ipotetiche
e parzialmente smentite in fatto.
Il
compendio probatorio posto a sostegno della ritenuta sussistenza del nesso di
causalità non è inficiato dalle censure del ricorrente. Infondata è la censura
incentrata sul mancato contagio della moglie dell'imputato: sul punto, la Corte
di appello ha rilevato che la non elevata percentuale di rischio (indicata dal
consulente del P.M. nel 12%, con alcune casistiche che lo indicano anche nel
30%, laddove i consulenti della difesa riportano la percentuale del 3%) fa sì
che il mancato contagio della moglie dell'imputato non escluda la derivabilità
del contagio della persona offesa dai rapporti con A., rilievo, questo, in
linea con i dati probatori richiamati ed immune da cadute di conseguenzialità
logica (e, del resto, neppure oggetto di specifiche e puntuali censure del
ricorrente). Le doglianze relative all'epoca di insorgenza della malattia,
oltre che non sorrette da deduzioni in grado di disarticolare il ragionamento
delineato dalla sentenza impugnata (così come quella relativa alla riconducibilità
dell'imputato nella categoria di persone che hanno multipli partner
occasionali), sono, prima ancora, infondate in fatto, posto che, come si è
visto, il 22/03/2009 è indicato dai giudici di merito come epoca della
manifestazione della malattia, laddove la sua insorgenza è stata individuata
sulla base della anamnesi svolta dai sanitari.
Il
rilievo circa il test negativo dell'11/08/2009 risulta svincolato
dall'indicazione del dato probatorio sul quale fa leva e, comunque, non è
idoneo ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata posto che la
malattia contratta dalla persona offesa non risulta contestata. Nel suo
complesso, dunque, l'iter motivazionale seguito dai giudici di merito in ordine
alla sussistenza del nesso di causalità, non risulta, ad avviso del Collegio,
compromesso, sul piano della tenuta logico-argomentativa, dalle doglianze del
ricorrente.
3.
Il secondo motivo, invece, è fondato nei termini di seguito indicati.
3.1.
In premessa, rileva il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata
deve essere valutata al lume della recente pronuncia delle Sezioni unite (Sez.
U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri)
intervenuta proprio sul tema dei rapporti tra dolo eventuale e colpa cosciente,
rimarcando la centralità, nel primo, della dimensione volitiva dell'elemento
soggettivo del reato. Infatti, hanno affermato le Sezioni unite (par.
43.2.)
che "se la previsione è elemento anche della colpa cosciente, è sul piano
della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo eventuale e colpa
cosciente", laddove "la colpevolezza per accettazione del rischio non
consentito corrisponde alla colpevolezza propria del reato colposo, non alla
più grave colpevolezza che caratterizza il reato doloso"; ai fini della
configurabilità del dolo eventuale, pertanto, non basta "la previsione del
possibile verificarsi dell'evento; è necessario anche - e soprattutto - che
l'evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il
raggiungimento di un determinato risultato"; nel dolo eventuale, infatti,
"oltre all'accettazione del rischio o del pericolo vi è l'accettazione,
sia pure in forma eventuale, del danno, della lesione, in quanto essa
rappresenta il possibile prezzo di un risultato desiderato". Nella prospettiva
tracciata dalle Sezioni unite (par. 50), dirimente, ai fini della
configurabilità del dolo eventuale, è "un atteggiamento psichico che
indichi una qualche adesione all'evento per il caso che esso si verifichi quale
conseguenza non direttamente voluta della propria condotta", sicchè
riveste decisivo rilievo che "si faccia riferimento ad un reale
atteggiamento psichico che, sulla base di una chiara visione delle cose e delle
prospettive della propria condotta, esprima una scelta razionale; e, soprattutto,
che esso sia rapportato allo specifico evento lesivo ed implichi ponderata,
consapevole adesione ad esso, per il caso che abbia a realizzarsi".
Nella
consapevolezza della complessità dell'accertamento giudiziale dell'elemento
soggettivo del reato, le Sezioni unite hanno indicato alcuni indizi o
indicatori del dolo eventuale: nella sintesi offertane dalla massima (Rv.
261105), le Sezioni unite hanno affermato che per la configurabilità del dolo
eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente,
occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la
specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta
aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a
ricostruire l'iter e l'esita, del processo decisionale, può fondarsi su una
serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella
doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata
e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il
fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali;
f) la probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative
anche per l'autore in caso di sua verificazione;
h)
il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l'azione nonchè la possibilità
di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente
non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto
contezza della sicura verificazione dell'evento (c.d. prima formula di Frank).
3.2.
La definizione dei rapporti tra dolo eventuale e colpa cosciente operata dalla
sentenza n. 38343/14 delle Sezioni unite rende ragione della sussistenza, nei
termini di seguito indicati, del vizio motivazionale della sentenza impugnata.
La
Corte di appello ha motivato la riforma sul punto della pronuncia di primo
grado rilevando come dal quadro probatorio emerga che, pur consapevole della
propria malattia, l'imputato non solo non ha avvisato la persona offesa della
situazione, ma ha anche avuto ripetutamente rapporti sessuali con la stessa pur
consapevole della concreta possibilità di un contagio e ne ha accettato il
rischio, a nulla rilevando la "speranza" o il "desiderio"
che ciò non accadesse: l'imputato si è rappresentato il concreto rischio
dell'evento e lo ha anche accettato, nel senso che si è determinato ad agire
(ossia, ad avere rapporti sessuali non protetti) anche a costo di cagionarlo.
Prive di consistenza sono le censure incentrate sul riferimento alla
trasmissione del virus (espressione, questa, univocamente indicativa
dell'infezione dalla quale è risultata affetta la persona offesa) e alle
lesioni gravi e gravissime (volto ad offrire una puntuale descrizione dei fatti
oggetto di imputazione e della sussumibilità delle conseguenze della
contrazione dell'infezione nelle due fattispecie circostanziali). Inoltre, con
riferimento al profilo rappresentativo dell'elemento soggettivo, ossia alla
previsione del possibile verificarsi dell'evento, la sentenza di appello - in
linea con quella di primo grado - ha fatto riferimento alla sicura conoscenza
in capo all'imputato della possibilità di trasmissione della malattia
attraverso rapporti sessuali non protetti, conclusione, questa, argomentata
principalmente sulla base della documentazione del 12/03/2008 (una
comunicazione della USL Emilia Romagna) che detta possibilità espressamente
indicava: sul punto, la motivazione risulta immune da cadute di
conseguenzialità logica e, comunque, non è stata oggetto di specifiche critiche
da parte del ricorso.
E',
invece, con riguardo al profilo volitivo dell'elemento psicologico che la
sentenza impugnata presenta il vizio motivazionale denunciato, sicchè deve
essere annullata: esaurendosi nel riferimento all'accettazione del rischio da
parte di A. del verificarsi dell'evento, la Corte di appello non ha dato atto
della riconoscibilità, in capo all'imputato, di "un atteggiamento psichico
che indichi una qualche adesione all'evento per il caso che esso si verifichi
quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta" (Sez. U,
n. 38343 del 2014 cit.)- La sussistenza del vizio si apprezza anche alla luce
degli indicatori del dolo eventuale individuati dalle Sezioni unite e, in
particolare, di quelli desumibili dalle pregresse esperienze dell'agente: sotto
questo profilo, l'epoca alla quale risale la malattia dell'imputato (15 - 20
anni, secondo quanto evidenziato dalla sentenza impugnata) e la circostanza che
il coniuge non ha contratto la medesima malattia (in un arco temporale di cui,
dalla sentenza impugnata, non risulta la coincidenza con la crisi matrimoniale
richiamata, tra gli altri rilievi, dalla Corte di appello a proposito del nesso
di causalità) rappresentano dati che richiedono un adeguato approfondimento da
parte del giudice di merito. Più in generale, la configurabilità del dolo
eventuale in luogo della colpa cosciente richiede un puntuale confronto con gli
indici rivelatori desumibili dal fatto e dalla vicenda nella quale si
inserisce, confronto che dovrà essere svolto dal giudice del rinvio alla luce
dei principi affermati dalla pronuncia delle Sezioni unite sopra richiamata. In
caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli
altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
Annulla
la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di
Bologna per nuovo esame. In caso di diffusione del presente provvedimento
omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n.
196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d'ufficio.
Così
deciso in Roma, il 23 febbraio 2015.
Depositato
in Cancelleria il 4 giugno 2015
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