SOLUZIONE PARERE SULLA RESPONSABILITA’ PER OMISSIONE E NESSO DI CAUSALITA’.
Cassazione penale, sez. IV, 19/03/2015 (dep. 27/5/2015),
n. 22378
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. A seguito di richiesta di patteggiamento il Tribunale di Trento ha
assolto V.V. dal reato di cui all'art. 590 in danno del lavoratore Vr.Ne. ai
sensi dell'art. 129 c.p.p., perchè il fatto non sussiste. A seguito di
contestuale giudizio abbreviato, lo stesso Tribunale ha assolto da tale accusa
con la medesima formula gli altri imputati A.C., Am.Ma., N.H., D.D..
La sentenza èstata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Trento
che ha dichiarato inammissibile per tardivitàl'appello del Procuratore generale
nei confronti del V.; ed ha affermato la responsabilitàdegli odierni
ricorrenti.
Ricorrono per cassazione il Procuratore generale e gli imputati in
epigrafe.
2. Il Procuratore generale censura la ritenuta inammissibilitàdell'appello
nei confronti di V. per tardività. Erroneamente si èritenuto che la sentenza
emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., nei confronti di costui sia stata
adottata nell'ambito di udienza in camera di consiglio nell'ambito del rito
pattizio, in realtànella sede dibattimentale gli imputati hanno avanzato
richieste distinte quanto al rito. Il V., in particolare, pur richiedendo
l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., ha altresìavanzato
richiesta di assoluzione ai sensi del richiamato art. 129.
Tale istanza èstata accolta, ma solo all'esito del dibattimento concernente
altri imputati; ed utilizzando le acquisizioni probatorie conseguite in tale
sede. Il giudizio èstato concluso con pronunzia liberatoria che ha riguardato
tutti gli imputati. Dunque non puòritenersi che si fosse, quanto l'imputato in
questione, nell'ambito di udienza camerale; con la conseguenza che il termine
per impugnare non era di 15 giorni, come erroneamente ritenuto dalla Corte
d'appello.
3. Gli imputati deducono diversi motivi 3.1. Si lamenta che il giudice
d'appello ha isolato solo alcuni brani della pronunzia dei Tribunale e non ha
esaminato la sentenza in modo integrale. Da essa emerge che la caduta fu
pacificamente dovuta alla riparazione del ponteggio in modo assolutamente
maldestro, utilizzando del filo di ferro; e tale da determinare il cedimento
della struttura alla sua prima utilizzazione. L'evento èstato dunque
determinato da tale riparazione di cui, tuttavia, non èstato possibile
individuare l'autore. Secondo il Tribunale tale grave condotta ha determinato
interruzione dei nesso causale; e ciòèaccaduto in epoca di poco anteriore al
momento dell'incidente accaduto (OMISSIS) alle ore 9,30. Tale interruzione non
consente di attribuire rilievo causale alle singole posizioni di garanzia. La
abnormitàdella condotta in questione èstata rimarcata dal giudice richiamando
l'elaborato peritale che parla di una demenziale opera di fissaggio delle
tavole metalliche a mezzo di filo di ferro compiuta da persona priva di
capacitàraziocinante.
Tale condotta èstata collocata a ridosso dell'infortunio ed èstata ritenuta
poco impegnativa, tanto da poter essere compiuta in un breve lasso di tempo;
sicchè l'azione di controllo dei preposti poteva essere facilmente elusa.
3.2. Si deduce inoltre che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che
non vi sia prova che la perizia non sia stata redatta pure nei confronti degli
imputati ricorrenti che in quell'epoca non erano indagati. Invece dagli atti
emerge che solo all'esito di tale perizia il pubblico ministero ha richiesto
che i ricorrenti venissero iscritti nel registro degli indagati.
3.3 Altrettanto erroneamente, si assume ancora, si èritenuto che gli
imputati chiedendo che si procedesse col rito abbreviato abbiano consentito
l'utilizzazione della perizia in questione. Tale assunto non èfondato. Gli
imputati hanno tempestivamente eccepita l'inutilizzabilitànei loro confronti
dell'atto in questione nell'udienza del 5 dicembre 2011. Dopo tale eccezione
preliminare hanno sostanzialmente chiesto di essere ammessi ad un giudizio
abbreviato condizionato, per cosìdire alla non utilizzabilitàdella perizia. In
ogni caso si tratta di inutilizzabilitàpatologica e perciònon sanabile con la
richiesta di rito abbreviato.
L'utilizzazione di tale perizia da luogo ad una prova costituzionalmente
illegittima perchè recante violazione del principio del contraddittorio di cui
all'art. 111 costo.
4. I ricorsi degli imputati sono fondati. E' invece privo di pregio quello
dell'accusa pubblica.
4.1 Le censure in ordine alla perizia ed alla sua utilizzazione sono prive
di pregio. La Corte di merito considera al riguardo che le prospettazioni in
tema di inutilizzabilitàdella perizia sono infondate. La circostanza che i
ricorrenti non fossero indagati all'epoca dell'indagine tecnica non èprovata. E
comunque la scelta del rito abbreviato fa cadere qualunque censura, non
essendosi in presenza di inutilizzabilitàpatologica.
Tale valutazione èda condividere. L'atto èstato acquisito al giudizio
abbreviato e dunque èentrato nel novero delle prove utilizzabili. Esso, d'altra
parte, non èaffetto da alcuna patologia. Se ne èsemplicemente estesa
l'utilizzabilitànei confronti di altri imputati, conformemente a quanto
previsto dal rito in questione. Del resto che la deduzione sia priva di pregio
emerge dal fatto che la difesa, da un lato prospetta l'indicata censura e
dall'altro utilizza l'atto per desumerne l'interruzione del nesso causale.
4.2 La deduzione afferente all'interruzione del nesso causale, ritenuta dal
primo giudice, èfondata.
Dalla sentenza del Tribunale emerge che erano in corso lavori edili di
ristrutturazione di un edificio affidati alla V. srl di cui il V.V. era datore
di lavoro e legale rappresentante. I lavori di intonacatura erano stati
subappaltati alla Amac Bau srl, di cui era datore di lavoro il ricorrente A.C.
e dirigente responsabile di cantiere il ricorrente Am.Ma.. Tale ultima
societàaveva commissionato il ponteggio alla N. spa di cui N.H. era
amministratore delegato. Coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione
dei lavori era D.D..
E' pure emerso che il lavoratore, dipendente della Amac Bau srl, era caduto
dal ponteggio mentre si trovava all'altezza di oltre quattro metri riportando
gravi lesioni personali.
La caduta fu determinata da una sorta di riparazione provvisoria effettuata
su un tratto orizzontale dell'impalcatura, consistita nel fissaggio del piano
di calpestio con un fragile fil di ferro;
intervento errato e pericoloso. Non èstata raggiunta la prova in ordine
all'autore di tale intervento. Esso, peraltro, èstato compiuto sicuramente poco
prima dell'evento lesivo, risalente al (OMISSIS), poichè il precedente
(OMISSIS), venerdì, era stata scattata una foto che mostrava il ponteggio nella
condizione originaria.
Tale contingenza ha determinato l'interruzione del nesso causale.
Inoltre, atteso che l'evento si èdeterminato in contiguitàtemporale con la
modifica, non rilevano nè le posizioni di garanzia nè la violazione
dell'obbligo di controllo da parte dei D..
La Corte d'appello, invece, ha ritenuto fondato l'appello avanzato nei
confronti degli odierni ricorrenti. Si èconsiderato che il subappaltatore
èpacificamente tenuto all'osservanza della norme sulla sicurezza del lavoro.
Sugli imputati gravava quindi l'obbligo della sicurezza del luogo di lavoro.
E' emerso che la modifica dei ponteggio era consistita nella due campate e
di due piani di appoggio e nella legatura delle estremitàdegli impalcati con
fil di ferro non era necessaria in relazione ai lavori edili programmati ed era
"demenziale" secondo l'opinione del perito. Tale modifica era da
attribuire verosimilmente agli operai della V. srl.
Il subappaltatore avrebbe dovuto inibire l'accesso al ponteggio modificato.
Di qui l'affermazione di responsabilità. D'altra parte, il comportamento della
vittima non era abnorme ed imprudente posto che era in atto un'ordinaria
attivitàlavorativa.
4.3 La valutazione espressa dai Tribunale si fonda su una puntuale e
penetrante valutazione delle prove ed èconforme all'ormai consolidata
giurisprudenza di questa Corte.
Dell'art. 41 cpv. c.p., e della cosiddetta interruzione del nesso causale
si sono recentemente occupate le Sezioni unite di questa Corte (Sez. Un 24
aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261103) che, evocando la precedente giurisprudenza,
hanno proposto condivisi principi. E' stata infatti posta l'enunciazione che il
garante èil gestore di un rischio; e che il termine "garante" viene
ampiamente utilizzato nella prassi anche in situazioni nelle quali si èin
presenza di causalitàcommissiva e non omissiva; ed ha assunto un significato
piùampio di quello originario, di cui occorre acquisire consapevolezza, traendo
argomento proprio dalla norma richiamata.
Si èconsiderato che la necessitàdi limitare l'eccessiva ed indiscriminata
ampiezza del'imputazione oggettiva generata dal condizionalismoèalla base di
classiche elaborazioni teoriche: la causalitàadeguata, la causa efficiente, la
causalitàumana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresìnel
controverso art. 41 cpv. c.p.. L'esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere
èquella di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo che il
diritto penale possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato
giudizio sulla paternitàdell'evento illecito.
Il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare
chiarezza la centralitàdell'idea di rischio; tutto il sistema èconformato per
governare l'immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che
l'uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. li rischio
ècategorialmente unico ma, naturalmente, si declina concretamente in diverse
guise in relazione alla differenti situazioni lavorative. Dunque, esistono
diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilitàche
quei rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi
piùcomplessi, si èfrequentemente in presenza di differenziate figure di
soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli
apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio.
Le Sezioni unite sottolineano che questa esigenza di delimitazione si
èfatta strada nella giurisprudenza, attraverso lo strumento normativo
costituito dall'art. 41 cpv. c.p.. Infatti, la diversitàdei rischi interrompe,
per meglio dire separa le sfere di responsabilità. Tale tesi èstata argomentata
traendo argomento proprio dalla prassi, richiamando alcuni casi topici,
prevalentemente incentrati proprio sul diritto penale del lavoro ((Sez. 4, n.
44206, del 25/09/2001, Intrevado, Rv. 221149; Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985,
Bernardi, Rv. 171215; Sez, 4, n. 3510 del 10/11/1999, Addesso, Rv. 183633; Sez.
4, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv.203223; Sez, 4, n. 2172 del
13/11/1984, Accettura, Rv. 172160; Sez. 4, n. 12381 del 18/03/1986, Amadori,
Rv. 174222; Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989, Dell'Oro, Rv. 183199; Sez. 4, n,
9563 del 11/02/1991, Lapi, Rv, 188202; Sez. 4, n. 8676 dei 14/06/1996,
Ieritano, Rv, 206012).
In sintesi, le Sezioni unite hanno posto l'enunciazione che un
comportamento è"interruttivo" (per restare al lessico tradizionale)
non perchè"eccezionale" ma perchè eccentrico rispetto ai rischio
lavorativo che il garante èchiamato a governare. Tale eccentricitàrenderàmagari
in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il
comportamento ma ciòèuna conseguenza accidentale e non costituisce la reale
ragione dell'esclusione dell'imputazione oggettiva dell'evento. A ciòva
aggiunta solo una chiosa pertinente al caso in esame: l'effetto interruttivo
non ènecessariamente dovuto al comportamento incongruo del lavoratore, ma a
qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente
esorbitante rispetto a quelli che il garante èchiamato a governare.
Alla luce di tali principi èagevole cogliere l'esattezza della soluzione
del caso proposta dal Tribunale. E' infatti emerso che il rischio di caduta dei
lavoratori era stato governato in modo sostanzialmente appropriato.
L'impalcatura presentava alcune imperfezioni che, però, non hanno avuto alcun
ruolo negli accadimenti. E' pure emerso che la struttura era intatta poco prima
dell'avvio dell'attivitàlavorativa dalla quale èscaturito l'infortunio. Ancora,
ad iniziativa di persone diverse dai ricorrenti, quella impalcatura èstata
oggetto di una manomissione completamente estranea a qualunque standard di
ragionevolezza, totalmente sconsiderata; posto che i piani di camminamento
erano sorretti da esile fil di ferro che non era assolutamente in grado di
reggere il peso di una persona. In tale manomissione scriteriata èagevole
cogliere un rischio nuovo, o forse meglio altamente esorbitante rispetto
all'ordinario rischio di caduta, caratterizzato da repentinitàe non
prevedibilità. Di tale diverso rischio, drammaticamente concretizzatosi, gli
imputati non possono essere chiamati a rispondere alla stregua degli indicati
principi.
E d'altra parte erra la Corte d'appello quando esclude l'interruzione del
nesso causale sulla base della considerazione che il comportamento del
lavoratore non era abnorme. Si èinfatti visto che la detta interruzione si
rapporta alla diversitào incommensurabilitàdel rischio nuovo, che dipenda o
meno dal comportamento del lavoratore.
La sentenza va dunque annullata senza rinvio nei confronti degli imputati
per non aver commesso il fatto.
5. L'appello del P.G. nei confronti del V. èstato ritenuto tardivo. Il
deposito della sentenza èstato comunicato il 7 giugno 2012 e l'impugnazione
èstata proposta solo il successivo 3 luglio e quindi senza l'osservanza del
termine di 15 giorni previsto dall'art. 585, comma 1, lett. A: infatti la
sentenza seguita alla richiesta di patteggiamento èemessa in udienza in camera
di consiglio, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. Tale
valutazione è immune da censure. Non è oggetto di contestazione che la sentenza
ex art. 444 c.p.p., è adottata in udienza in camera di consiglio ed è quindi
ricorribile nei termine di 15 giorni: il principio, invero, è consolidato nella
giurisprudenza di questa Corte. La doglianza si basa sulla considerazione che
nei caso in esame la pronunzia in esame è stata adottata per così dire in
parallelo con quella resa nei confronti di altri imputati a seguito di giudizio
abbreviato. Ma tale contingenza, a ben vedere, non ha rilievo. I due giudizi
hanno proceduto con contestualità(probabilmente per esigenze di semplificazione
e speditezza) ma non hanno mai perso la loro identità: la sentenza ex art. 129
c.p.p., costituisce espressione di un potere riconosciuto al giudice anche nel
rito pattizio. Dunque, non si scorge alcuna ragione che possa indurre a derogare
alle regole in ordine al termine per impugnare. Il ricorso dell'accusa pubblica
va dunque rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A. C. e Am.Ma.
per non avere i medesimi commesso il fatto.
Rigetta il ricorso del Procuratore generale nei confronti di V. V..
Cosìdeciso in Roma, il 19 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2015
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