Per ricevere in anteprima e in maniera totalmente gratuita le più recenti e rilevanti sentenze della Cassazione penale CLICCA SUL TASTO MI PIACE qui al lato -------->
Cassazione
penale, Sez. VI, 21 marzo 2013, n. 16381
MASSIMA
Integra
il delitto di peculato, e non quello di abuso di ufficio, la condotta
del pubblico ufficiale che, comportandosi "uti dominus"
rispetto alla cosa di cui abbia il possesso per ragioni di ufficio,
la ceda, anche provvisoriamente, a terzi estranei
all'amministrazione, perché ne facciano un uso al di fuori di ogni
controllo della pubblica amministrazione. (Nella specie, la Corte ha
ritenuto integrato il delitto di peculato in un'ipotesi in cui un
vigile urbano aveva ceduto in più occasioni, fuori dai suoi orari di
servizio, la radiotrasmittente, utilizzabile per le comunicazioni con
la centrale operativa, al titolare di un'impresa di soccorso
stradale, per consentirgli di conoscere gli incidenti che avvenivano
nel territorio, di recarsi tempestivamente sui luoghi e di lucrare
sul recupero dei mezzi coinvolti).
SENTENZA
CONSIDERATO IN FATTO
1.
Con sentenza del 24.2.2012 la Corte di Appello di Torino - a seguito
di gravame interposto dagli imputati - in parziale riforma della
sentenza in data 10.12.2012 emessa dal G.U.P. del Tribunale di
Torino, riqualificate le condotte di peculato come violazione
dell'art. 323 c.p., esclusa la recidiva contestata a M.M. e MA.Lu. e
concesse le circostanze attenuanti generiche a C.A., CR.Fr.Ch. e S.
F., rideterminava la pena nei confronti di P. A., PR.Da., A.P.,
MA.Lu. e M.M., concedendo a C., CR., S. e MA. il beneficio della
sospensione condizionale della pena; revocava la pena accessoria ex
art. 317 bis c.p. inflitta a PR. e P., confermando nel resto la
sentenza.
2.
E' stato contestato a PR.Da. e P.A., agenti in servizio presso la
Polizia Municipale di Torino, il delitto di peculato, e per il primo
una correlata corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, in
relazione alla cessione dell'apparecchio radio Tetra - assegnato agli
agenti della polizia municipale per le comunicazioni riservate
intercorrenti con la centrale operativa - ad alcuni titolari di
imprese di soccorso stradale - il PR. anche dietro corrispettivo in
denaro - nonchè il connesso delitto di cognizione fraudolenta di
comunicazioni e conversazioni riservate avvenuta mediante tali
apparecchi, aggravato dalla violazione dei doveri inerenti le
funzioni dei pubblici ufficiali.
3.
Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di
Torino deducendo inosservanza dell'art. 314 c.p. ed erronea
applicazione dell'art. 323 c.p. in relazione alla intervenuta
derubricazione della originaria accusa di peculato. Osserva il
ricorrente pubblico, richiamandosi alle argomentazioni della prima
sentenza, che la condotta ascritta agli imputati era quella di
peculato il quale si consuma anche quando l'appropriazione - che si
realizza con ogni forma di esercizio atipico del potere di
disposizione con cui il pubblico ufficiale ponga in essere
un'interversione del titolo del possesso del bene di cui ha la
disponibilità in ragione del suo ufficio o servizio - non arrechi
danno patrimoniale alla P.A., essendo comunque lesiva dell'interesse
tutelato identificato nella legalità, imparzialità e buon andamento
della P.A..
Osserva,
ancora, che nella specie la condotta di cessione per la
caratteristica intrinseca derivante dal fatto che il bene viene
materialmente ceduto a terzi per consentire l'utilizzo di questi
comporta una estromissione con caratteri di definitività giacchè il
p.u. perde materialmente e giuridicamente la disponibilità del bene
che esce dalla propria sfera di controllo.
4.
Propongono ricorso gli imputati, personalmente e a mezzo dei
difensori.
5.
A.P. personalmente deduce erronea applicazione della legge penale e
manifesta illogicità della motivazione in relazione a:
5.1.
qualificazione del fatto sub art. 323 c.p. in quanto per il
ricorrente non vi è mai stato vantaggio patrimoniale, risultando la
condanna esito di una deduzione neanche logica ed in assenza di
riscontri;
5.2.
omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche in
prevalenza sulle contestate aggravanti, avendo omesso la Corte di
considerare adeguatamente l'incensuratezza, il buon comportamento
processuale, le ammissioni e l'obiettiva collaborazione prestata.
5.3.
mancata determinazione della pena sui minimi edittali non risultando
la pena adeguata al caso concreto.
6.
Nell'interesse di PR.Da. si deduce:
6.1.erronea
applicazione degli artt. 323 e 319 c.p. in quanto nessuno dei correi
agiva nello svolgimento delle funzioni o del servizio - in quanto la
titolare dell'apparecchio era fuori dal servizio ed i correi non
agivano nella veste di agenti della polizia municipale - , nè
tantomeno in violazione di norme di legge o regolamento - in assenza
di qualsiasi normativa di tale rango che disciplinasse l'uso degli
apparecchi radio. Inoltre, il denaro ricavato dalla consegna
dell'apparecchio non aveva avuto come prestazione corrispettiva la
commissione di un atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio, ma
un atto del tutto estraneo all'ufficio.
6.2.
inosservanza dell'art. 15 c.p. e art. 522 c.p.p. e mancanza di
motivazione. Non si sarebbe ravvisato il concorso apparente di norme
tra gli artt. 323 e 319 c.p. pervenendosi ad una ingiustificata
duplicazione della pretesa punitiva; non vi sarebbe corrispondenza
tra l'imputazione e la sentenza non essendo stato contestato il
concorso formale ex art. 81 c.p., comma 1 in relazione al capo C).
Manca
qualsiasi motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto
di corruzione in assenza di qualsiasi prova su lesioni degli
interessi della P.A..
6.3.
Illogicità della motivazione in relazione all'omessa concessione
delle attenuanti di cui agli artt. 114 e 323 bis c.p. in
considerazione del mero ruolo di sostituibile intermediario svolto
dall'imputato e dall'assenza di un danno patrimoniale alla P.A. ed
alla scarsa intensità del dolo.
6.4.
Erronea applicazione degli artt. 617 e 623 c.p. in relazione alla
ritenuta procedibilità di ufficio del reato sub H) in ragione del
ruolo meramente concorsuale attribuito al PR. ed al G. e della
irrilevanza dell'ascolto da parte del privato.
7.
Nell'interesse di P.A. si deduce:
7.1.
erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione per
il ritenuto abuso di ufficio (capo f) in relazione alla insussistenza
nella specie della violazione di legge o regolamento, del vantaggio
patrimoniale per sè o per altri in conseguenza dell'abuso,
risultando - tra l'altro - l'imputato assolto dal delitto di
corruzione, dell'esercizio delle funzioni risultando la radio
consegnata al di fuori dell'orario di servizio.
7.2.
erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione in
ordine al capo h) risultando dagli accertamenti il disinteresse
dell'imputato dell'effettivo utilizzo dell'apparecchio ceduto,
peraltro assolutamente non provato, cosicchè insussistente doveva
ritenersi la aggravante contestata e la correlata procedibilità di
ufficio.
7.3.
erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata
concessione delle attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e art. 323
bis c.p.. Non poteva essere preclusa la prima attenuante perchè
l'imputato non aveva ritenuto di non procedere al risarcimento del
danno in costanza dell'accusa di corruzione dalla quale era stato poi
assolto. Inoltre, la reiterazione della condotta non poteva ostare
alla concessione della attenuante, dovendosi considerare il fatto nel
suo complesso e verificatosi nell'arco di soli tre mesi e senza danno
per l'ente pubblico.
8.
Nell'interesse di M.M. e C.A. con identici motivi si deduce:
8.1.
erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione per
il ritenuto abuso di ufficio (capo f) in relazione sia al concorso in
capo al ricorrente sia alla insussistenza nella specie della
violazione di legge o regolamento, del vantaggio patrimoniale per sè
o per altri in conseguenza dell'abuso, risultando - tra l'altro -
l'imputato assolto dal delitto di corruzione, dell'esercizio delle
funzioni risultando la radio consegnata al di fuori dell'orario di
servizio.
8.2.
Erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione in
ordine al capo h) risultando dagli accertamenti il disinteresse
dell'imputato dell'effettivo utilizzo dell'apparecchio ceduto,
peraltro assolutamente non provato, cosicchè insussistente doveva
ritenersi la aggravante contestata e la correlata procedibilità di
ufficio.
8.3.
erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata
concessione della attenuante di cui all'art. 323 bis c.p. in quanto
la reiterazione della condotta non poteva ostare alla concessione
della seconda aggravante, dovendosi considerare il fatto nel suo
complesso e verificatosi nell'arco di soli tre mesi e senza danno per
l'ente pubblico.
MOTIVI DELLA DECISIONE
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.
Il ricorso del Procuratore generale è fondato.
1.1.
La Corte territoriale ha riqualificato le originarie condotte di
peculato ascritte agli imputati, ed in ordine alle quali era
intervenuta condanna in primo grado, nell'ambito della fattispecie di
cui all'art. 323 c.p. ritenendo assente nella specie una condotta
appropriativa che - secondo il Collegio - deve comportare una
definitiva estromissione del bene dal patrimonio della P.A. mentre
nei casi in esame il bene appartenente alla p.a. era "prestato"
a terzi e prontamente restituito dopo ogni utilizzo. Difetterà anche
il profilo psicologico del delitto ipotizzato, posto che nessuna
interversione del possesso si era verificata in capo ai pp.uu., ben
consci dell'appartenenza dell'apparecchio al loro ufficio. Secondo la
Corte territoriale ricorre nella specie un indebito uso del bene che
integra la figura delittuosa dell'abuso di ufficio non essendosi
verificata la perdita del bene e la conseguente lesione patrimoniale
in danno dell'avente diritto. L'accertata utilizzazione di beni della
p.a. per finalità estranee a quelle alle quali erano stati adibiti -
prosegue la sentenza - integra il requisito della doppia ingiustizia,
rappresentando nella sua oggettività offesa all'interesse protetto.
1.2.
Osserva il Collegio che l'elemento oggettivo del reato di peculato
consiste nell'appropriazione, la quale si realizza con una condotta
del tutto incompatibile con il titolo per cui si possiede, da cui
deriva una estromissione totale del bene dal patrimonio dell'avente
diritto con il conseguente incameramento dello stesso da parte
dell'agente. L'elemento soggettivo consiste, invece, nel mutamento
dell'atteggiamento psichico dell'agente nel senso che alla
rappresentazione di essere possessore della cosa per conto di altri
succede quella di possedere per conto proprio (Sez. 6, Sentenza n.
381 del 12/12/2000 Rv. 219086, Genchi e altri).
1.3.
Nella specie, è incontestata la ricostruzione dei fatti secondo la
quale gli imputati pubblici ufficiali consegnavano ripetutamente a
privati ed al di fuori dei turni di servizio gli apparecchi radio in
loro esclusiva dotazione per le riservate comunicazioni di servizio
al fine di consentire agli stessi privati - titolari di ditte di
soccorso stradale - di ascoltare le comunicazioni stesse che
segnalavano sinistri stradali onde portarsi tempestivamente sul posto
e - in applicazione della accettata prassi che attribuiva il recupero
dei mezzi coinvolti alla ditta che per prima si portava sul posto -
lucrare su detto recupero. Risulta parimenti incontestata - con
riferimento alla sola posizione del PR. - la corresponsione di un
prezzo settimanale per la cessione di tali apparecchi, in tal modo
oggetto di un illecito "noleggio".
1.4.
Ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia erroneamente
negato nella specie l'appropriazione costitutiva del delitto
originariamente contestato, come pure il correlato elemento
psicologico.
1.5.
Si versa nella ipotesi in cui oggetto della condotta materiale sono
cose di specie nell'ambito della quale la appropriazione si è
manifestata con la condotta uti dominus del pubblico ufficiale che,
detentore nomine alieno dell'apparecchio, ha effettuato la traditio
dell'apparecchio medesimo a terzi estranei, destinandolo ad una
finalità illecita ed al di fuori di ogni controllo della P.A..
La
pattuizione circa la restituzione dell'apparecchio e la verificazione
di questa da parte del cessionario al termine del periodo di consegna
non possono essere considerate nè per negare la estromissione del
bene dalla P.A., nè per affermare l'uso momentaneo di esso in quanto
la prima è di natura illecita e, pertanto, improduttiva di effetti
giuridici vincolanti, e , tra questi, di quello alla restituzione.
1.6.
Nell'ambito di questa ricostruzione il danno è in re ipsa, dato che
la traditio ha spogliato definitivamente la P.A. e che, quindi, la
restituzione è un post factum alla già avvenuta consumazione del
reato.
2.
Il profilo esaminato assorbe ogni altro aspetto sollevato dai ricorsi
degli imputati in ordine ai capi C) ed F) imponendo l'annullamento
della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di
Appello di Torino per nuovo giudizio.
3.
Quanto alle doglianze difensive mosse da tutti gli imputati
ricorrenti in relazione al capo H) della rubrica, esse sono
infondate.
3.1.
Del tutto corretta è la motivazione sul punto della sentenza gravata
in quanto non v'è dubbio che l'ascolto fraudolento sanzionato è
quello delle comunicazioni e conversazioni riservate, facenti capo
alla centrale operativa della Polizia municipale e che avvenivano
tramite il sistema TETRA, che i pubblici ufficiali hanno
concorsualmente consentito ai privati per questo cedendo loro gli
apparecchi, violando i loro doveri funzionali correlati alla
riservatezza delle comunicazioni che intervenivano sulla rete.
3.2,
Inammissibile per genericità è la deduzione sul medesimo capo
svolta nell'interesse di P. e M. allorquando deduce senz'altro
l'assenza di prova in ordine alla effettiva captazione delle
comunicazioni di servizio, in presenza di una consegna
dell'apparecchio unicamente e specificamente volta alla predetta
captazione.
4.
In relazione al ricorso nell'interesse di A.P., restano assorbiti i
motivi circa l'omessa ritenuta prevalenza delle attenuanti generiche
e la quantificazione della pena.
5.
In relazione al ricorso nell'interesse di PR.Da., restano assorbiti i
motivi relativi al concorso apparente tra le fattispecie ex art. 323
e art. 319 c.p., alla omessa giustificazione del delitto corruttivo
ed alla omessa concessione delle attenuanti di cui all'art. 114 c.p.
e art. 323 bis c.p..
6.
In relazione al ricorso nell'interesse di P.A. restano assorbiti i
motivi in ordine alla omessa concessione della attenuante di cui
all'art. 62 c.p., n. 6 e art. 323 bis c.p..
7.
In relazione ai ricorsi nell'interesse di M.M. e C.A. restano
assorbiti i rispettivi motivi in ordine all'omesso riconoscimento
dell'attenuante ex art. 323 bis c.p..
P.Q.M.
P.Q.M.
In
accoglimento del ricorso del Procuratore generale, qualificati i
fatti di cui ai capi C) ed F) come reato ex art. 314 c.p., comma 1,
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra
sezione della Corte di Appello di Torino. Rigetta gli altri ricorsi e
condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Nessun commento:
Posta un commento