martedì 23 novembre 2010

La Cassazione ritorna sulla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente.

Cassazione penale, sez. IV, 24 marzo 2010, n. 11222.

L’argomento affrontato dalla quarta sezione della Corte di Cassazione riguarda l’inquadramento giuridico della condotta di colui il quale a seguito di incidente stradale provoca la morte di altri soggetti e, quindi, il tema del criterio distintivo tra colpa cosciente e dolo eventuale.
Il caso è quello di Tizio che, procedendo con la sua autovettura a velocità particolarmente elevata (circa 90 Km/h), durante l'attraversamento dell'incrocio, nonostante il semaforo segnalasse luce rossa e si trovasse in un centro abitato, investiva Caio e Sempronio a bordo di un motorino procurando loro lesioni gravissime, dalle quali derivava la morte. Nonostante l’impatto, Tizio proseguiva senza fermarsi e solo successivamente veniva identificato e sottoposto a fermo.
In primo grado Tizio veniva condannato per omicidio volontario, richiamando il giudice di prime cure, quanto alla qualificazione giuridica del fatto, i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sulla differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente e riteneva la sussistenza del primo di tali profili psicologici, rilevando che "l'imputato, alla guida di un'autovettura di grossa cilindrata, attraversando un incrocio in zona centrale della capitale, in orario in cui era elevata la circolazione pedonale e veicolare ..., procedendo a velocità estremamente elevata, non inferiore ai 90 km orari, attraversando consecutivamente due incroci nonostante il semaforo nella sua direzione di marcia indicasse luce rossa, si è evidentemente rappresentato il rischio di incidenti, anche con possibili gravi conseguenze. Ciò nonostante non ha desistito dalla sua folle condotta di guida, accettando almeno in parte il rischio di un evento drammatico”.
Sul gravame dell'imputato, la Corte di Assise di Appello, riteneva il fatto sussumibile nella diversa ipotesi di reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e art. 61 c.p., n. 3, richiamando anch'essi i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia, rilevando, fra l'altro, che l'inciso contenuto nell'art. 43 c.p. “quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente" mostra che "è necessario un qualche cosa in più perchè, a partire dalla previsione dell'evento, sia attinta la soglia del dolo, sia pure nella forma del dolo eventuale ...".; e che "occorre distinguere la volontà dell'evento dannoso dalla volontà di non osservare le leggi, regolamenti, ordini o discipline che quell'evento sono intesi ad evitare ". Osservavano che "il giudice dell'udienza preliminare ha fatto leva sulla gravità delle violazioni come parametro, pressochè esclusivo, alla stregua del quale ha, poi, desunto che l'imputato ha inteso agire "a rischio" di cagionare l'evento, e, perciò, in tal senso, "volendo" la morte di una persona".
Su ricorso del Procuratore generale, la Cassazione conferma la pronuncia della Corte d’Appello inquadrando l’elemento soggettivo come colpa cosciente.
La Corte, dopo aver esaminato le varie correnti giurisprudenziali e dottrinali in merito alla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, sottolinea che, poichè la previsione è anche elemento della colpa, è sul piano della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente: "dolo eventuale si ha quando il rischio viene accettato a seguito di un'opzione, di una deliberazione con la quale l'agente consapevolmente subordina un determinato bene ad un altro", quando, oltre all'accettazione del rischio o del pericolo, "vi è l'accettazione, sia pure in forma eventuale, del danno, della lesione, in quanto essa rappresenta il possibile prezzo di un risultato desiderato".
Si è anche chiarito, con altra autorevole voce della dottrina, che "l'evento può dirsi accettato quando l'agente: a) si rappresenta almeno la possibilità positiva del verificarsi di esso; b) permane altresì nella convinzione o anche nel dubbio che esso possa concretamente verificarsi; c) tiene, ciononostante, la condotta quali ne siano gli esiti, anche a costo di cagionare l'evento e perciò accettandone il rischio; con una presa di posizione, con una scelta di volontà orientata nel senso della lesione e non del rispetto del bene tutelato".
Quanto al criterio dell’accettazione del rischio, la Corte precisa che è necessario sgomberare il campo da un possibile equivoco che potrebbe annidarsi nel mero richiamo a tale espressione: l'accettazione non deve riguardare solo la situazione di pericolo posta in essere, ma deve estendersi anche alla possibilità che si realizzi l'evento non direttamente voluto, pur coscientemente prospettasi. Posto che il dolo eventuale è pur sempre una forma di dolo e che l'art. 43 cpv. c.p., comma 1, richiede non soltanto la previsione, ma anche la volontà di cagionare l'evento, "la forma più tenue della volontà dolosa, oltre la quale si colloca la colpa (cosciente), è costituita dalla consapevolezza che l'evento, non direttamente voluto, ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione nonchè dell'accettazione volontaristica di tale rischio" (Cass., Sez. Un., 12 ottobre 1993, n. 748/1994, cit.).
In altre parole, perché sussista il dolo eventuale, ciò che l'agente deve accettare è proprio l'evento - proprio la morte -; è il verificarsi della morte che deve essere stato accettato e messo in conto dall'agente, pur di non rinunciare all'azione che, anche ai suoi occhi, aveva la seria possibilità di provocarlo".
Massima: Occorre, quindi, accertare, per ritenere la sussistenza del dolo eventuale, che l'agente abbia accettato come possibile la verificazione dell'evento (nella fattispecie che occupa, la morte o la lesione di altri soggetti), non soltanto che abbia accettato una situazione di pericolo genericamente sussistente: ed è, altresì, necessario un quid pluris rispetto alla sola previsione dell'evento (che pure caratterizza la colpa cosciente), cioè l'accettazione, hic et nunc, della concreta probabilità che questo, ancorchè non direttamente voluto, abbia a realizzarsi, non desistendo l'agente dalla sua condotta, che continua ad essere dispiegata anche a costo di determinare l'evento medesimo. In sostanza, "accettazione del rischio" non significa accettare solo quella situazione di pericolo nella quale si inserisce la condotta del soggetto e prospettarsi solo che l'evento possa verificarsi, che tanto costituisce anche il presupposto della colpa cosciente; significa accettare anche la concreta probabilità che si realizzi quell'evento, direttamente non voluto.

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