SOLUZIONE PARERE SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI NEL TEMPO, GIUDICATO
E NORME EXTRAPENALI.
Fatto
RILEVATO
IN FATTO
1. Con
sentenza emessa il 13/07/2010 il Tribunale di Caltanissetta giudicava C.D.,
A.G., M. G., C.A., I.M., Am. F. e altri imputati, per i reati loro
rispettivamente ascritti.
Per
effetto di tale sentenza, l'imputato C.D. veniva condannato alla pena di anni
sei, mesi dieci di reclusione e 111.000,00 Euro di multa, per i delitti di cui
ai capi B), C), D), E), F) e H) della rubrica, unificati sotto il vincolo della
continuazione.
L'imputato
Am.Fr. veniva condannato alla pena di anni due di reclusione e 10.000,00 Euro
di multa, per il delitto di cui al capo L).
L'imputato
A.G. veniva condannato alla pena di anni sei, mesi due di reclusione e
100.500,00 Euro di multa, per i delitti di cui ai capi B) e C), unificati sotto
il vincolo della continuazione.
L'imputato
I.M. veniva condannato alla pena di anni sei di reclusione e 100.000,00 Euro di
multa, per il delitto di cui al capo I).
L'imputato
M.G. veniva condannato alla pena di anni sei, mesi due di reclusione e
100.500,00 Euro di multa, per i delitti di cui ai capi B) e C), unificati sotto
il vincolo della continuazione.
Venivano,
infine, emesse ulteriori statuizioni processuali nei confronti di soggetti
estranei al presente procedimento.
1.1.
Nella sentenza, si evidenziava che le indagini avevano avuto origine da
complessi servizi di intercettazione, che consentivano di accertare l'esistenza
di un'articolata rete soggettiva, finalizzata a favorire l'ingresso illegale di
cittadini provenienti dall'Europa orientale e a trovare loro una sistemazione
per rimanere nel nostro Paese, destinandoli ad attività lavorative in nero o a
convivenze more uxorio con cittadini italiani.
In
questa cornice, si delineavano le modalità con cui si svolgevano le attività
delittuose contestate agli imputati, evidenziando che per l'erogazione di tali
prestazioni illecite veniva pattuito un corrispettivo variabile, pagato dal
cliente e successivamente trattenuto dal primo stipendio spettante al cittadino
extracomunitario.
Quanto
agli elementi probatori acquisiti nei confronti degli imputati, è possibile
riassumerli con le modalità, qui di seguito, richiamate.
Per gli
addebiti elevati ai capi B) e C), si faceva riferimento ai servizi di
osservazione svolti dalla polizia giudiziaria, alle dichiarazioni di B.G.M. e
ai colloqui telefonici captati tra gli imputati e altri soggetti.
Per gli
addebiti elevati ai capi D), E), F) e H), si faceva riferimento alle
dichiarazioni delle persone offese, alle verifiche investigative eseguite
presso il ristorante del C. e alle intercettazioni telefoniche captate
nell'arco temporale compreso tra il 18/05/2003 e l'01/09/2003.
Per gli
addebiti elevati al capo I), si faceva riferimento ai servizi di osservazione
della polizia giudiziaria e alle conversazioni telefoniche intercettate il
16/05/2003 e il 17/07/2003.
Per gli
addebiti elevati al capo L), si faceva riferimento ai servizi di osservazione
della polizia giudiziaria e alle conversazioni telefoniche intercettate
nell'arco temporale compreso tra il 07/05/2003 e l'01/09/2003.
2.
Avverso tale sentenza proponevano appello gli imputati C. D., A.G., M.G.,
Am.Fr. e I.M., le cui posizioni sono transitate in questo procedimento penale.
Proponevano
appello anche gli altri imputati, le cui posizioni non sono transitate in
questo procedimento e non verranno esaminate.
2.1. La
difesa del C., quanto ai reati di cui ai capi B), C), F) e H), chiedeva
l'assoluzione dell'appellante per la scarsa significatività delle emergenze
probatorie, eminentemente costituite da captazioni telefoniche e sommarie
informazioni rese dalle persone offese.
Quanto
ai reati contestati ai capi D) ed E), si contestava il giudizio di
attendibilità delle persone offese escusse nel corso delle indagini
preliminari, formulato dai giudici di primo grado.
2.2. La
difesa del M., in via principale, ne chiedeva l'assoluzione dai reati
ascrittigli, per l'assenza di prove che l'appellante si fosse mai recato
all'estero, svolgendo l'attività di intermediazione contestata. Nè potevano
essere valutate in questa direzione le intercettazioni telefoniche e le sommarie
informazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari.
In via
subordinata, si chiedeva il riconoscimento delle attenuanti generiche e la
riduzione della pena al minimo edittale.
2.3. La
difesa dell' A. chiedeva, in via principale, l'assoluzione dai reati
ascrittigli, per l'assenza di prove che l'appellante avesse mai svolto
l'attività di intermediazione illecita contestata. Tale attività, in ogni caso,
doveva essere ricondotta all'ipotesi di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 7
ovvero all'ipotesi di cui al cit. decreto, art. 22, comma 12.
In via
subordinata, la difesa dell' A. chiedeva il riconoscimento delle attenuanti
generiche e la riduzione della pena al minimo edittale.
2.4. La
difesa dell' Am. eccepiva preliminarmente la nullità della sentenza impugnata e
del sottostante decreto di rinvio a giudizio per l'insufficienza e l'assoluta
indeterminatezza dell'imputazione ascrittagli.
Nel
merito degli addebiti, si chiedeva l'assoluzione dell'appellante, per l'assenza
di prove che avesse mai svolto l'attività delittuosa contesta, essendosi
limitato, con la sua agenzia, a indirizzare al lavoro cittadini stranieri
contattati dopo il loro autonomo ingresso in Italia.
In via
subordinata, la difesa dell' Am. chiedeva il riconoscimento delle attenuanti
generiche e la riduzione della pena al minimo edittale.
2.5. La
difesa dell' I. ne chiedeva, in via principale, l'assoluzione, per l'assenza di
prove che avesse mai svolto l'attività delittuosa contesta, essendosi limitato
ad assistere i cittadini stranieri in attesa di occupazione, senza averne
preventivamente favorito l'ingresso nel territorio dello Stato.
In via
subordinata, si chiedeva il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione
della pena al minimo edittale.
2.6.
Con sentenza emessa il 10/05/2012 la Corte di appello di Caltanissetta
riformava la decisione impugnata nei confronti del C., limitatamente al reato
di cui al capo D), per intervenuta prescrizione, che imponeva la
rideterminazione della pena irrogata in anni sei, mesi otto e 100.800,00 Euro
di multa.
Per il
resto, la sentenza veniva confermata, non condividendosi le censure sollevate
dagli appellanti.
3.
Avvero la sentenza di appello ricorrevano per cassazione, con atti separati,
gli imputati C.D., A.G., M.G., Am.Fr. e I.M..
3.1. La
difesa dell'imputato C.D., rappresentata in giudizio dall'avv. Vincenzo
Vitello, con atto depositato il 24/10/2012, eccepiva, quale primo motivo di
ricorso, la violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett.
b), in relazione all'art. 2 c.p..
Si
deduceva, in tale ambito, che la corte territoriale avrebbe dovuto assolvere il
ricorrente, perchè i reati contestatigli ai capi B), C), E) F) e H) erano stati
commessi nei soli confronti di cittadini rumeni che, a far data
dall'01/01/2007, non potevano più essere considerati cittadini extracomunitari,
essendo la Romania entrata a far parte dell'Unione europea.
Quale
secondo motivo di ricorso, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art.
606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 192, 526 e 530 c.p.p.,
D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 2, 3 bis, 3 ter e 5. Si eccepiva,
inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza.
Quale
terzo motivo di ricorso, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p.. Si
eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per
mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza.
In tale
ambito, in particolare, si evidenziava che la corte territoriale non aveva reso
alcuna motivazione in ordine alla richiesta di concessione delle attenuanti
generiche, nonostante tale doglianza fosse stata espressamente sollevata nei
motivi di appello.
3.2. La
difesa dell'imputato A.G., rappresentata in giudizio dall'avv. Salvatore
Pecoraro, con atto depositato il 29/12/2012, eccepiva, quale unico motivo, la violazione
dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.Lgs. n. 286
del 1998, art. 12.
Si
deduceva, in particolare, che all' A., al capo B), veniva contestata
l'aggravante di cui al cit. articolo, comma 3, per l'applicazione della quale
era necessaria la contestuale ricorrenza delle ipotesi contestate alle lett. a)
e c), insussistente nel caso in esame.
3.3. La
difesa dell'imputato M.G., rappresentata in giudizio dall'avv. Salvatore
Vitello, con atto depositato il 29/12/2012, quale primo motivo, eccepiva la
violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 2
c.p..
Si
deduceva, in tale ambito, che la corte territoriale doveva assolvere
l'imputato, atteso che i delitti contestati non erano previsti dalla legge come
reato, essendo intervenuta una abolitio criminis che imponeva l'applicazione
dell'art. 2 c.p., comma 4, atteso che le attività illecite contestate
riguardavano esclusivamente soggetti di nazionalità rumena.
Quale
secondo motivo di ricorso, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art.
606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 192 e 526 c.p.p., art.
530 c.p.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 2, 3, 3 bis e 3 ter. Si
eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per
mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si
deduceva, in particolare, che la corte territoriale era pervenuta alla condanna
dell'imputato, senza soffermarsi adeguatamente sul contenuto delle
intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari e sulle sommarie
informazioni rese dalle persone offese che, resesi irreperibili, si sottraevano
al contraddittorio.
Quale
terzo motivo, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p..
Si
eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per
mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si
deduceva, in particolare, che la corte territoriale non aveva reso alcuna
motivazione sulla concessione delle attenuanti generiche, nonostante tale
doglianza fosse stata espressamente sollevata con i motivi di appello.
3.4. La
difesa dell'imputato Am.Fr., rappresentata in giudizio dall'avv. Carmine Bove,
con atto depositato il 26/11/2012, quale primo motivo di ricorso, eccepiva la
nullità del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza del capo di
imputazione elevatogli al capo L), ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1,
lett. b), in relazione agli artt. 429 e 552 c.p.p., con conseguente nullità
degli atti processuali successivi.
Tale
motivo era stato rigettato dai giudici di appello sulla base di una acritica
recezione degli argomenti processuali sostenuti nella sentenza di primo grado,
fondati sull'interpretazione sistematica degli artt. 429 e 552 c.p.p., che
dovevano essere rivalutati.
Quale
secondo motivo di ricorso, si eccepiva la mancanza, la contraddittorietà e la
manifesta illogicità della motivazione della sentenza, ai sensi dell'art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e).
Tali
carenze motivazionali, in particolare, riguardavano le risultanze probatorie
derivanti dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini
preliminari, dalle quali non risultava il coinvolgimento dell' Am. nell'ipotesi
delittuosa ascrittagli al capo L).
Quale
terzo motivo, si eccepiva la violazione di legge, con riferimento al
trattamento sanzionatorio, alla dosimetria della sanzione penale irrogata all'
Am. e alla concessione della sospensione condizionale della pena, ai sensi
dell'art. 163 c.p..
3.5. La
difesa dell'imputato I.M., rappresentata in giudizio dall'avv. Antonio Di
Cicco, con atto pervenuto l'01/08/2013, eccepiva due motivi di ricorso.
Si
eccepiva, innanzitutto, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b),
in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3 e 3 bis.
Si
eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in
relazione agli artt. 69 e 133 c.p..
Diritto
CONSIDERATO
IN DIRITTO
1. In
via preliminare, deve rilevarsi che gli imputati C. D., A.G., M.G., Am.Fr.
e I.M.
ricorrevano per cassazione, con atti depositati separatamente, i cui motivi di
ricorso devono essere esaminati distintamente.
2.
Prendendo le mosse dalla posizione di C.D., deve rilevarsi che con il ricorso
depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, il ricorrente eccepiva tre
motivi.
2.1.
Quale primo motivo di ricorso, la difesa del C. eccepiva la violazione di legge
ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 2 c.p..
Si
deduceva, in particolare, che la corte territoriale avrebbe dovuto assolvere il
C., perchè i reati contestatigli erano stati commessi nei soli confronti di
cittadini rumeni, i quali, a far data dall'01/01/2007, non potevano più essere
considerati extracomunitari, essendo la Romania entrata a fare parte
dell'Unione europea.
Ne
discendeva che, nel caso di specie, si era verificata una successione nel tempo
di norme extrapenali integratrici del precetto penale previsto dal D.Lgs. n.
286 del 1998, art. 12, che imponeva alla corte territoriale l'assoluzione del
C., facendo applicazione della previsione dell'art. 2 c.p., comma 4, in quanto
i fatti delittuosi non erano più previsti dalla legge come reato.
Si
deduceva, in tale ambito, riproponendo un motivo di censura già sollevato con i
motivi di appello dello stesso difensore, che gli elementi probatori acquisiti
nel corso del dibattimento non erano stati sottoposti a un vaglio processuale
adeguato, che si imponeva tenuto conto delle discrasie ermeneutiche presenti
nel giudizio di primo grado e rimaste insolute nella sentenza impugnata, il cui
percorso argomentativo non consentiva di formulare un giudizio di
responsabilità nei confronti del C..
Deve,
invero, rilevarsi che l'assunto sul quale si fonda tale motivo di ricorso
risulta, in punto di fatto, smentito dalle emergenze processuali, atteso che il
riferimento esclusivo a cittadini di nazionalità rumena è esplicito per la sola
ipotesi delittuosa contestata al C. al capo B), atteso che per le residue
ipotesi - in cui non si fa nominativamente riferimento all'identità delle
persone offese come nei capi C), E) F) e H) - si contesta genericamente al
ricorrente di avere realizzato le condotte illecite che gli vengono attribuite
nei confronti di cittadini stranieri.
Invero,
tale questione ermeneutica, al contrario di quanto dedotto in ricorso, era
stata affrontata e risolta correttamente nella sentenza impugnata, in
conseguenza dei motivi di appello proposti, tra gli altri, dai ricorrenti A.,
M. e C.. Tali censure, in particolare, venivano risolte dalla corte
territoriale in senso contrario ai motivi proposti, rilevando che l'adesione
della Romania all'Unione europea non aveva comportato alcun mutamento del
presupposto applicativo della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998,
art. 12 - costituito dalla condizione di cittadino straniero richiamata dal
cit. decreto, art. 1 e rilevante in relazione all'adesione sopravvenuta di uno
Stato all'Unione medesima - essendo rimasta inalterata la struttura del reato e
il contenuto offensivo di tale norma penale.
A supporto
di tale impostazione, si richiamava la giurisprudenza delle Sezioni unite,
intervenuta proprio con riferimento al problema della nazionalità rumena dei
soggetti entrati nel territorio italiano, rispetto al tema della successione di
leggi penali nel tempo, secondo cui: "In tema di successione di leggi
penali, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione
incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale
norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia
retroattiva" (cfr. Sez. un., n. 2451 del 27/09/2007, dep. 16/01/2008, P.G.
in proc. Magera, Rv. 238197).
Tale
soluzione interpretativa, a sua volta, si poneva in sintonia con i principi
precedentemente affermati dalle Sezioni unite in tema di successione di leggi
penali, che escludevano la possibilità di accogliere la teoria della doppia
punibilità in concreto, affermando che, per individuare il campo di
applicazione dell'art. 2 c.p., comma 4, non ci si può limitare a considerare se
il fatto, punito in base alla legge anteriore, sia sanzionato o meno, da quella
posteriore. Ne conseguiva che l'indagine sugli effetti penali della successione
di leggi extrapenali doveva essere condotta facendo riferimento alla
fattispecie astratta e non al fatto concreto, occorrendo stabilire se la norma
extrapenale modificata svolga, in collegamento con la disposizione
incriminatrice, un ruolo tale da fare ritenere che, pur essendo questa rimasta
immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e
quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato
(cfr. Sez. un., n. 25887 del 26/03/2003, dep. 16/06/2003, Giordano e altri, Rv.
224606).
Tale
approdo interpretativo veniva ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di
questa Corte che, con riferimento all'efficacia delle norme extrapenali
integratrici del precetto penale conseguente alla sopravvenuta adesione di uno
Stato all'Unione europea, osservava: "In tema di successione di leggi
penali, l'adesione di uno Stato all'Unione europea non determina la non
punibilità del delitto, commesso anteriormente alla data di entrata in vigore
del Trattato di adesione, consistente nel compiere atti diretti a procurare
l'ingresso nel territorio italiano dello straniero che sia cittadino di tale
Stato" (cfr. Sez. 1, n. 10265 del 28/02/2008, dep. 06/03/2008, P.G. in
proc. Cristofan, Rv. 239567).
Nel
caso in esame, la corte territoriale, facendo una corretta applicazione dei
principi di diritto che si sono richiamati, escludeva la sussistenza di
un'ipotesi di abolitio criminis rilevante ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 4,
rigettando i motivi di appello, fondati su tale censura. La correttezza di tale
impostazione ci viene confermata dal passaggio della sentenza in cui i giudici
di appello, richiamando i più recenti approdi interpretativi di questa Corte,
affermavano: "Non avendo i difensori inteso sviluppare alcun innovativo
argomento idoneo a suscitare un sia pur minimo ripensamento in tema, non vi è
dunque alcuna necessità di indugiare oltre modo sulle ragioni dell'infondatezza
del comune motivo di doglianza in questione, bastando sul punto far integrale
richiamo recettivo a quanto esplicitato nell'impugnata sentenza in ordine alla
sicura punibilità come reato delle condotte di violazione di disposizioni del
testo unico sull'immigrazione commesse in relazione a soggetti ora non più
"stranieri" ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 1 ma tali al
momento di compimento delle condotte incriminate" (cfr. Sez. 3, n. 15481
dell'11/01/2011, dep. 18/04/2011, Guttà e altri, Rv. 250119).
Tali
considerazioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del ricorso
proposto da C.D..
2.2.
Con il secondo motivo di ricorso, si eccepiva la violazione dell'art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 192, 526 e 530 c.p.p.,
D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 2, 3 bis, 3 ter e 5, cui si
ricollegava la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza
e manifesta illogicità della motivazione. Tali doglianze devono essere
esaminate congiuntamente, riguardando l'inidoneità degli elementi probatori
acquisiti nel giudizio di primo grado a dimostrare la responsabilità penale del
C., in relazione alle ipotesi delittuose contestategli ai capi B), C), E) F) e
H) della rubrica.
Deve,
in proposito, rilevarsi che il materiale probatorio esaminato dai giudici di
appello si componeva di due differenti tipologie di prova, rappresentate, per
un verso, dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini
preliminari nei confronti del C., per altro verso, dalle dichiarazioni rese dai
soggetti coinvolti nelle attività illecite svolte dal ricorrente. In tale
secondo ambito probatorio, occorreva ulteriormente distinguere le dichiarazioni
acquisite con riferimento alle ipotesi di reato ascritte all'imputato B), C),
F) e H), da quelle ascritte all'imputato al capo E), risultando differente il
materiale dichiarativo esaminato.
In
questo contesto processuale, deve rilevarsi che le fonti di prova raccolte nel
corso delle indagini preliminari venivano riscontrate nel corso
dell'istruttoria dibattimentale, consentendo ai giudici di merito di esprimere,
con un percorso argomentativo immune da censure processuali, un giudizio di
responsabilità nei confronti del C..
In ordine
alle intercettazioni telefoniche, in particolare, i giudici di merito
effettuavano una ricostruzione puntuale del materiale probatorio raccolto, come
ci viene dimostrato dalla disamina delle captazioni utili all'accertamento
delle responsabilità dell'imputato, che consentivano di verificare l'elevata
capacità criminale del C., che era in grado, in tempi rapidi e dietro
corresponsione di somme di denaro, di procurare ai clienti manodopera
straniera.
In
questa direzione, secondo i giudici di appello, dovevano essere vagliate le
conversazioni intercettate nell'arco temporale compreso tra il 18/05/2003 e
l'01/09/2003, cui si faceva espressamente riferimento mediante appositi
richiami testuali, nella parte dedicata alla posizione del C.. La gran parte di
tali conversazioni telefoniche riguardava i rapporti illeciti intercorrenti tra
il ricorrente, il M. e l' A. - cui, difatti, risultavano contestate in concorso
le ipotesi di reato di cui ai capi B) e C) della rubrica - il cui contenuto,
come riferito nella sentenza impugnata, era costantemente incentrato "sul
reciproco scambio di informazioni in ordine alla "sistemazione" dei
cittadini stranieri ed al conseguente guadagno".
Inoltre,
l'univocità del materiale probatorio fondato sulle intercettazioni telefoniche nelle
quali risultava coinvolto il C. veniva ulteriormente riscontrato dai servizi di
osservazione svolti dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini
preliminari, sui cui esiti incontroversi i giudici di appello si soffermavano
con una ricostruzione esente da smagliature processuali. Si affermava, in tale
ambito, che il quadro probatorio trovava puntuale conferma negli esiti dei
servizi di osservazione eseguiti nel corso delle indagini preliminari dalla
polizia giudiziaria, che riscontrava l'arrivo presso le stazioni di volta in
volta individuate degli stranieri.
La
linearità e la congruità dei passaggi argomentativi dedicati alle captazioni
telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari induce questa Corte
a ritenere superfluo ogni ulteriore approfondimento sul contenuto di tali
captazioni, peraltro ammissibile nei soli limiti prefigurati dalla
giurisprudenza di legittimità, certamente irrilevanti nel caso di specie,
secondo cui:
"In
materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa
all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la
valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può
essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta
illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono
recepite" (cfr.
Sez. 2,
n. 35181 del 22/05/2013, dep. 21/08/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784).
Occorre,
in ultimo, vagliare il profilo conclusivo del motivo di ricorso in esame,
secondo cui nella sentenza di appello non erano state prese in considerazione
le giustificazioni addotte dal C., secondo cui dalle intercettazioni emergeva
che l'imputato si limitava a offrire lavoro nel proprio ristorante a cittadini
extracomunitari alle stesse condizioni salariali di cui beneficiavano i
componenti del suo nucleo familiare. La conferma di tali giustificazioni
derivava dalla stessa condotta dell'imputato che, nelle ipotesi in cui non
poteva assumere i lavoratori stranieri alle sue dipendenze, segnalava loro eventuali
datori di lavoro dove avrebbero potuto essere impiegati, senza trarre alcun
profitto da tali segnalazioni.
Deve,
invero, rilevarsi che tale ipotesi si pone in palese contrasto con le emergenze
processuali, che fanno ritenere dimostrate - sulla base degli elementi
probatori che si sono richiamati - le attività delittuose poste in essere dal
C., con il fondamentale apporto dei suoi concorrenti, il cui coinvolgimento non
può essere messo in discussione. Si trattava, quindi, di prendere in considerazione
un'opzione alternativa a quella correttamente vagliata dai giudici di merito,
in presenza di elementi probatori che consentivano di escluderne la veridicità
e la fondatezza, con la conseguenza che, nel caso in esame, non era ragionevole
attribuire alcun valore alla ricostruzione prospettata dal ricorrente, in
presenza di fonti di prova che inducevano a escludere non solo la plausibilità,
ma addirittura la verosimiglianza di una siffatta ricostruzione.
A ben
vedere, un tale percorso argomentativo, oltre che illogico e processualmente
incongruo, si sarebbe posto in contrasto con la giurisprudenza consolidata di
questa Corte, secondo cui: "In tema di valutazione della prova, il ricorso
al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato
preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni
spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile,
ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme
con gli altri elementi risultanti dagli atti" (cfr. Sez. 6, n. 5905 del
29/11/2011, dep. 15/02/2012, Brancucci, Rv. 252066).
In
questa cornice processuale, non possiamo comunque non rilevare che, anche su
questo punto, la sentenza impugnata risulta immune da censure, come è desumibile
dal passaggio della motivazione in cui si affermava: "Il timido tentativo
di offrire una differente chiave di lettura del contenuto delle interlocuzioni
(...) si è dunque scontrato con l'inconfutabile forza dimostrativa del
contenuto dei discorsi affrontati e delle parole pronunciate dai suddetti
imputati, i quali, con cadenza quasi quotidiana, hanno tenuto contatti, diretti
o mediati, in Romania o in altri Paesi dell'est europeo al fine di reperire
soggetti intenzionati a recarsi in Italia, si sono interessati per il viaggio
di tali soggetti a volte anticipandone le spese, si sono preoccupati di andarli
a prendere personalmente o tramite altri enti presso le stazioni di arrivo,
hanno offerto loro ospitalità o cercato alloggi, si sono attivati per destinarli
ad un'attività lavorativa ed hanno preteso un compenso per le prestazioni
svolte".
Tali
considerazioni impongono di ritenere inammissibile il secondo motivo del
ricorso proposto da C.D..
2.3.
Quale terzo motivo di ricorso, la difesa del C., innanzitutto, eccepiva la
violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 62
bis e 133 c.p.. Si eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma
1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si
deduceva, in tale ambito, che il giudice di appello non aveva svolto alcuna
motivazione in ordine alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche
di cui all'art. 62 bis c.p., nonostante tale doglianza fosse stata
specificamente sollevata con i motivi di appello proposti dalla difesa
dell'imputato, con atto depositato il 17/02/2011.
Deve,
in proposito, rilevarsi che la disamina delle sottostanti sentenze di merito,
conformi sul punto del trattamento sanzionatorio irrogato al C., non consente
di ritenere il provvedimento impugnato affetto da patologie processali idonee a
inficiarne il contenuto dosimetrico, essendo il giudizio compiuto adeguato
rispetto alla gravità dei fatti, il numero delle imputazioni elevate e il
coinvolgimento di una pluralità di cittadini stranieri nelle attività illecite
contestate al ricorrente. Sulla scorta di tali parametri, la cui valutazione
processuale appare ineccepibile e fondata su un giudizio adeguato rispetto alla
gravità dei fatti delittuosi, veniva irrogata al C. la pena di anni sei, mesi
otto di reclusione e 100.800,00 Euro di multa, con cui si rideterminava la pena
inflitta in primo grado, per effetto dell'intervenuta prescrizione del reato di
cui al capo D).
Non
risponde nemmeno al vero che il giudice di appello abbia omesso di motivare
sulle circostanze generiche invocate dalla difesa del C., evidenziando che, nel
caso di specie, era da escludere la ricorrenza delle "condizioni oggettive
e soggettive giustificanti il riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, stante la non trascurabile dimensione temporale del frenetico
attivismo criminoso da loro dimostrato e risultando in atti del tutto
impossibile rinvenire un qualche concreto valore positivo atto ad obliterare il
negativo giudizio esprimibile in ordine alla loro personalità".
Si
consideri, in ogni caso, che le attenuanti generiche rispondono alla funzione
di adeguare la pena al caso concreto, nella globalità degli elementi oggettivi
e soggettivi che lo connotano, sul presupposto del riconoscimento di situazioni
riscontrate con riferimento alla posizione dell'imputato. La necessità di un
giudizio che coinvolga tale posizione nel suo complesso - e che impediva la
formulazione del giudizio di prevalenza richiesto dalla difesa del C. - è
sintetizzata dal principio affermato da questa Corte, secondo cui: "Le
attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e
discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di
situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze
da valutare ai sensi dell'art. 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni
tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare,
considerazione ai fini della quantificazione della pena" (cfr. Sez. 6, n.
2642 del 14/01/1999, dep. 25/02/1999, Catone, Rv. 12804).
Queste
considerazioni inducono a ritenere inammissibile anche tale ultima doglianza
difensiva.
3.
Passando a considerare la posizione di A.G. deve rilevarsi che, con il ricorso
depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, il ricorrente eccepiva un
unico motivo di ricorso.
3.1.
Quale unico motivo di ricorso la difesa dell' A. eccepiva la violazione
dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.Lgs. n. 286
del 1998, art. 12.
Si
deduceva, in particolare, che l'imputato veniva condannato per la commissione
del reato di cui al capo B) della rubrica, contestato ai sensi del D.Lgs. n.
286 del 1998, art. 12, commi 1, 3 bis e ter, senza tenere conto delle modifiche
introdotte dalla L. 15 luglio 2009, n. 94.
Infatti,
al capo B), veniva contestata l'aggravante di cui all'art. 12, comma 3 bis, per
l'applicazione della quale, a seguito delle predette modifiche normative, era
necessaria la contestuale ricorrenza delle ipotesi contestate alle lettere a) e
c) della norma, insussistente nel caso di specie.
Ne
derivava la necessità di escludere la circostanza aggravante prevista dal
D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 bis, limitatamente a tale ipotesi di
reato, nella sua attuale formulazione, conformemente al principio della
successione di leggi penali favorevole al reo consacrato dall'art. 2 c.p.,
comma 4, con la conseguente rideterminazione della frazione di pena irrogata
all' A. per il capo B).
Deve,
invero, rilevarsi che il presupposto edittale dal quale muove la difesa del
ricorrente risulta smentito dalle evidenze processuali, non tenendo conto che
all' A., al capo B), veniva contestata anche l'ipotesi di reato di cui al
D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 ter, la cui applicazione prescinde dal
fatto che, nella sentenza di primo grado, era stata ritenuta sussistente
l'aggravante prevista dalla lettera a) ed esclusa quella di cui all'art. 12,
comma 3, lett. c). Ne consegue che, nel caso di specie, la pena edittale
irrogata all' A. doveva essere quantificata sulla base dei parametri edittali
previsti dall'art. 12, comma 3 ter, lett. b), essendo i fatti contestati
commessi "al fine di trarre un ingiusto profitto" - secondo quanto
espressamente previsto in rubrica - che prevede la pena della reclusione da
cinque a quindici anni e della multa di 15.000,00 Euro per ogni persona,
prevista dall'art. 12, comma 3, ulteriormente aumentata da un terzo alla metà
per la pena detentiva e della multa di 25.000,00 Euro per ogni persona.
Ne
discende che, tenuto conto del fatto che all' A., nella sentenza di primo grado
confermata sul punto dalla sentenza impugnata, veniva applicata una pena di
anni sei, mesi due di reclusione e 105.000,00 Euro di multa, la sanzione
irrogata risultava compresa nei parametri edittali previsti dal D.Lgs. n. 286
del 1998, art. 12, comma 3 ter. Al ricorrente, dunque, veniva applicata una
pena che teneva conto del fatto che il reato contestato al ricorrente al capo
B) era stato commesso nelle condizioni circostanziali previste dall'art. 12,
comma 3 ter, lett. b) - che prevede gli aumenti richiamati se i fatti cui ai
commi 1 e 3 "sono commessi al fine di trarne profitto anche
indiretto" - venendo conseguentemente contenuta entro i parametri edittali
previsti per l'ipotesi di reato contestata.
Nel
compiere tale verifica sul trattamento sanzionatorio irrogato all' A., infine,
occorre rilevare la sentenza impugnata, sotto il profilo della verifica della
sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie prevista dal D.Lgs. n.
286 del 1998, art. 12, comma 3 ter, si sviluppava secondo un percorso
argomentativo che deve ritenersi coerente e immune da censure, per come
attestato dai passaggi motivazionali dedicati a tale profilo, che richiamano le
conclusioni della sentenza di primo grado, componendo un corpo motivazionale
unitario, coerente e privo di discrasie processuali (cfr. Sez. 1, n. 27106 del
16/06/2011, dep. 12/07/2011, Giurato, Rv.
250803).
Queste
considerazioni impongono di ritenere inammissibile il ricorso proposto
nell'interesse di A.G..
4. Per
quanto riguarda la posizione di M.G. deve rilevarsi che, con il ricorso
depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, il ricorrente eccepiva tre
motivi di ricorso.
4.1.
Quale primo motivo, la difesa di M.G. eccepiva la violazione dell'art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 2 c.p., comma 4.
Si
deduceva, in particolare, che la corte territoriale avrebbe dovuto assolvere il
M. perchè i fatti di reato che gli venivano contestati ai capi B) e C) della
rubrica non erano previsti dalla legge come reato, essendo intervenuta una
abolitio criminis, che imponeva l'applicazione dell'art. 2 c.p., comma 4,
conseguente al fatto che tali attività illecite erano contestate esclusivamente
in relazione a cittadini stranieri di nazionalità rumena.
Veniva,
in tal modo, riproposta una questione già sollevata in appello e correttamente
risolta nella sentenza impugnata, alla quale si è già fatto compiutamente
riferimento al paragrafo 2.1, nell'esaminare il primo motivo di ricorso del C.,
cui occorre rinviare per l'integrale cognizione degli ragioni, che impongono la
declaratoria di inammissibilità di tale motivo, conformemente alla
giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr.
Sez.
un., n. 2451 del 27/09/2007, dep. 16/01/2008, P.G. in proc. Magera, Rv.
238197).
Senza
volere ripercorrere tali argomenti, occorre comunque ribadire, così come si è
fatto con riferimento alla posizione del C., che il presupposto fattuale sul
quale si fonda tale motivo di ricorso non è del tutto congruo, atteso che il
richiamo ai cittadini rumeni è esplicito per il solo reato contestato al M. al
capo B), atteso che per la residua ipotesi, elevata al capo C), si contestava
all'imputato di avere realizzato tali condotte illecite nei confronti di
cittadini stranieri.
Occorre,
in ogni caso, ribadire che, come si è evidenziato nel paragrafo 2.1 di questa
sentenza, la questione interpretativa sollevata dalla difesa del M., era stata
risolta correttamente dalla corte territoriale, escludendo che l'adesione della
Romania all'Unione europea aveva comportato alcun mutamento del presupposto
applicativo della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12 (cfr.
Sez. 3, n. 15481 dell'11/01/2011, dep. 18/04/2011, Guttà e altri, Rv. 250119).
Queste
ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del ricorso
proposto nell'interesse di M.G..
4.2.
Quale secondo motivo di ricorso, articolato in due differenti censure, si
eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione
agli artt. 192, 526 e 530 c.p.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 2,
3, 3 bis e 3 ter.
In tale
ambito, altresì, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett.
e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si
deduceva, in particolare, che la corte territoriale aveva condannato il M.
sulla base di una parte delle intercettazioni attivate nel corso delle indagini
preliminari e sulle sommarie informazioni rese da alcuni cittadini stranieri
che, resisi irreperibili, si sottraevano al contraddittorio tra le parti processuali.
Ne conseguiva che, pur dovendosi ammettere la possibilità che le dichiarazioni
precedentemente acquisite, laddove divenute irripetibili, potessero essere
utilizzate ai fini della decisione, le stesse dovevano essere valutate dal
giudice di primo grado, secondo un cauto e prudente apprezzamento, di cui si
doveva fornire un adeguato riscontro motivazionale che, nel caso di specie, non
si ravvisava.
Deve,
invero, rilevarsi che l'acquisizione, ai sensi degli artt. 512 e 512 bis
c.p.p., delle sommarie informazioni testimoniali rese nel corso delle indagini
preliminari riguarda solo una parte degli elementi probatori - di per sè non
decisiva - ai fini della formulazione del giudizio di colpevolezza del M. per i
capi B) e C) della rubrica.
Queste
acquisizioni, indicate genericamente nel ricorso del M. senza riferimento ai
singoli soggetti e alle modalità rituali dell'acquisizione, innanzitutto,
avevano luogo all'udienza del 21/05/2008, nella quale, ai sensi dell'art. 512
c.p.p., venivano acquisite le sommarie informazioni testimoniali rese da D.C.
A., G.A., N.D. e F. T.. In relazione a tale acquisizione, la lettura degli atti
processuali consente a questa Corte l'affermazione di un giudizio di corretta
valutazione dei presupposti applicativi dell'art. 512 c.p.p., conformemente ai
parametri giurisprudenziali consolidati (cfr. Sez. 6, n. 2296 del 13/11/2013,
dep. 20/01/2014, Frangiamore, Rv. 257771).
Tali
acquisizioni, inoltre, avevano luogo all'udienza del 16/06/2009, nella quale,
ai sensi dell'art. 512 c.p.p., venivano acquisite le sommarie informazioni rese
da C.I.O. e E. I.B.; mentre, ai sensi dell'art. 512 bis c.p.p., venivano
acquisite le sommarie informazioni rese da D.B., G. C.A. e M.S.. Anche in
questo caso, il provvedimento che disponeva l'acquisizione di tali
dichiarazioni era emesso in conformità dei parametri elaborati da questa Corte
con riferimento agli artt. 512 e 512 bis c.p.p. (cfr. Sez. 2, n. 51410 del
18/09/2013, dep. 19/12/2013, Zappala e altro, Rv. 257975).
In
entrambi i casi, l'acquisizione delle sommarie informazioni richiamate aveva
luogo nel rispetto delle regole stabilite dagli artt. 512 e 512 bis c.p.p.,
sulle quali i giudici di merito si confrontavano adeguatamente, non lasciando
spazio per ipotizzare una sopravvalutazione di tale materiale dichiarativo,
tenuto conto del contenuto inequivocabile delle intercettazioni telefoniche
acquisite nel corso delle indagini preliminari. Deve, in ogni caso, ribadirsi
che tali dichiarazioni costituivano elementi di riscontro, rilevanti ma non indispensabili,
rispetto al contenuto delle captazioni telefoniche, sulle quali, si fondava il
giudizio di colpevolezza del M. per le ipotesi ascrittegli ai capi B) e C)
della rubrica.
Si
deduceva, inoltre, che dalle intercettazioni e dalle sommarie informazioni
acquisite nel corso delle indagini preliminari non erano emersi elementi
sufficienti a supportare l'ipotesi accusatoria, secondo cui il M. aveva
procurato l'ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio italiano o
aveva comunque favorito la loro permanenza nel nostro Paese. Secondo la difesa,
da tali elementi probatori, non emergeva che l'imputato si era recato in
Romania a prelevare cittadini rumeni allo scopo di trasportarli in Italia,
atteso che gli stranieri in questione entravano nel nostro Paese con un
regolare visto turistico ovvero con un permesso di soggiorno rilasciato per
motivi di lavoro.
Ne
discendeva che il M. si limitava a portare i cittadini extracomunitari entrati
regolarmente in Italia dal luogo di arrivo al luogo di lavoro precedentemente
individuato attraverso canali estranei alla sua persona, ricevendo il solo
pagamento del prezzo del loro trasporto, senza trarre ulteriori ingiustificati
profitti.
Deve,
in proposito, rilevarsi che tali argomenti risultano in contrasto con le emergenze
processuali che consentono di affermare, in termini di certezza probatoria, il
ruolo propulsivo del M. nella gestione dei cittadini stranieri che facevano
ingresso nel territorio italiano, che venivano smistati dall'imputato -
generalmente d'intesa con il C. e l' A. - sulla base di un meccanismo operativo
consolidato nel tempo, come ci viene dimostrato dalle captazioni raccolte nel
corso delle indagini preliminari.
Nemmeno
è possibile ravvisare nel percorso argomentativo seguito dai giudici di appello
alcuna discrasia motivatoria, essendosi vagliate accuratamente le conversazioni
intercettate nel periodo compreso tra il 18/05/2003 e l'01/09/2003, cui si fa
espressamente riferimento nella sentenza impugnata attraverso appositi richiami
testuali, nella parte dedicata alla posizione del M.. Tali intercettazioni,
eminentemente, riguardavano i rapporti intercorsi tra il C., il M. e l' A.,
nella valutazione dei quali, come riferito nell'impugnata sentenza, non si vede
"in che termini concreti e sotto quali specifici profili si possa
contestare l'avvenuto compimento da parte dei predetti, delle condotte
criminose a loro ascritte ai capi B) e C) della rubrica, tanto più se si
considera che il quadro probatorio risultante dalla svolta attività tecnica di
captazione, già in sè chiaramente rappresentativo dell'esistenza di un
consolidato rapporto di illecita collaborazione tra i predetti imputati
ancorchè connotato da momenti di evidente antagonismo, ha trovato ulteriore
conferma negli esiti dei diversi servizi di osservazione eseguiti dalla polizia
giudiziaria presso le stazioni di arrivo dei cittadini stranieri".
Occorre,
infine, ribadire, analogamente a quanto effettuato nel paragrafo 2.2, in
relazione alla posizione del C., che la linearità e la congruità dei passaggi
motivazionali dedicati alle captazioni telefoniche acquisite induce questa
Corte a ritenere superflui ulteriori verifiche, anche alla luce dei parametri
giurisprudenziali elaborati in materia (cfr. Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013,
dep. 21/08/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784).
Queste
ragioni impongono di ritenere inammissibile anche il secondo motivo del ricorso
proposto da M.G..
4.3.
Quale terzo motivo, anch'esso articolato in due diverse doglianze, si eccepiva
la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt.
62 bis e 133 c.p., cui si collegava la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma
1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata.
Deve,
invero, rilevarsi che l'esame delle sentenze di merito, conformi in ordine al
trattamento sanzionatorio irrogato al M., non consente di ritenere il
provvedimento impugnato inficiato da irregolarità dosimetriche, risultando il
giudizio compiuto adeguato rispetto alla gravità dei fatti delittuosi
contestati ai capi B) e C). Sulla scorta di tali parametri, sui quali ci si è
già soffermati nel valutare la posizione del C. al paragrafo 2.3, cui si
rinvia, la valutazione processuale risulta ineccepibile, comportando
l'irrogazione al M. di una pena di anni sei, mesi due di reclusione e
100.500,00 Euro di multa.
Non
risponde, inoltre, al vero che i giudici di secondo grado avevano omesso di
rendere motivazione sulle circostanze generiche invocate dalla difesa del M.,
rilevando che, a fronte dell'elevata capacità a delinquere dell'imputato,
doveva ritenersi ingiustificata "ogni riduzione dell'irrogato trattamento
sanzionatorio, siccome determinato dai primi giudici in misura più che adeguata
al complessivo disvalore penale delle contestate condotte criminose".
Occorre,
infine, rilevare che, nel caso, di specie, è stata compiuta una corretta
valutazione della posizione processuale del M. considerata nel suo complesso,
conformemente ai parametri elaborati da questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 2642 del
14/01/1999, dep. 25/02/1999, Catone, Rv. 12804).
Queste
considerazioni inducono a ritenere inammissibile anche il terzo motivo del
ricorso proposto da M.G..
5.
Passando a considerare la posizione di Am.Fr. deve rilevarsi che, con il
ricorso depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, il ricorrente eccepiva
tre motivi di ricorso.
5.1. La
difesa dell' Am., quale primo motivo, eccepiva l'inosservanza di norme
processuali, determinante la nullità del decreto che dispone il giudizio per
indeterminatezza del capo di imputazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma
1, lett. b), in relazione agli artt. 429 e 552 c.p.p., con conseguente nullità
degli atti processuali consequenziali.
Tale
motivo era stato già rigettato da entrambi i giudici di merito sulla base di
argomenti condivisibili, non ritenendo che, nel caso di specie, l'imputazione
elevata al capo L) all' Am. lasciasse spazio alcuno a incertezze sui fatti di
reato che lo determinavano e che gli venivano contestati. Si evidenziava, in
particolare, che tali considerazioni conseguivano al fatto che l'imputazione
risultava enunciata in tutti i suoi elementi essenziali, tenuto conto della
fattispecie ascritta all' Am., quale risultante non soltanto dalla
contestazione formale, ma anche da tutti quegli atti processuali che avevano
certamente posto l'imputato in condizione di conoscere in modo completo i suoi
addebiti, conformemente ai parametri elaborati da questa Corte (cfr. Sez. 5, n.
3407 del 16/12/2004, dep. 02/02/2005, Capozzi e altri, Rv. 231414).
Ne
discende che occorre ribadire il giudizio di congruità rituale espresso dai
giudici di merito in ordine all'imputazione elevata all' Am. al capo L),
dovendosi ritenere pienamente condivisibile il giudizio espresso nella sentenza
impugnata, secondo cui risultavano "sufficientemente indicati gli elementi
storici essenziali dell'addebito a lui contestato ed a nulla rilevando, ai
limitati fini in esame, la mancata individuazione dei referenti esteri
dell'imputato, il preciso nominativo dei cittadini all'epoca extracomunitari
introdotti illegalmente in Italia con l'ausilio dei di lui referenti esteri e
l'esatta qualificazione della somma di denaro ricavata dallo stesso
imputato".
Queste
ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del ricorso
proposto da Am.Fr..
5.2.
Quale secondo motivo di ricorso, si eccepiva la mancanza, la contraddittorietà
e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza ai sensi dell'art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e), con particolare riferimento alle emergenze
probatorie derivanti dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso
delle indagini preliminari.
Si
deduceva, infatti, che nessuna intercettazione dimostrava l'esistenza di
contatti diretti tra l' Am. e agenzie straniere, anche in considerazione delle
dichiarazioni rese da Mi.Si., T.F., H.L.S., B.E. I. e P.G., che non era
possibile utilizzare nella direzione probatoria recepita nelle due sentenze di
merito.
In tale
ambito, sul piano generale, con riferimento al materiale probatorio costituito
dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini
preliminari, ci si deve limitare a richiamare le considerazioni formulate nei
paragrafi 2.2 e 4.2, con specifico riferimento alle posizioni del C. e del M.,
cui si deve rinviare.
Nel
merito della doglianza avanzata, deve rilevarsi che i giudici di appello, con
un percorso argomentativo esente da discrasie processuali, evidenziavano che
l'autonoma valenza dimostrativa attribuibile alle intercettazioni telefoniche
acquisite nel corso delle indagini preliminari consentiva di esprimere un
giudizio di colpevolezza nei confronti dell' Am.. L'univocità di tali elementi
probatori consentiva di ritenere superabile la mancanza di prove dichiarative
utilizzabili a carico dell'imputato, tenuto conto del contenuto delle numerose conversazioni
telefoniche richiamate nella sentenza impugnata, riguardati l'arco temporale
compreso tra il 06/05/2003 e il 29/05/2003.
In
questa cornice probatoria, il giudice di appello non riteneva plausibile
l'assunto difensivo secondo cui sarebbero stati gli stessi stranieri a offrirsi
spontaneamente all' Am., atteso che tale ricostruzione postula un presupposto
fattuale contrastante con le emergenze processuali, che evidenziano come
l'imputato avesse consolidati rapporti di lavoro con altre agenzie operanti nel
settore, grazie ai quali riusciva a smistare illecitamente le richieste
pervenutegli. A tutto questo occorre aggiungere che l' Am. non soltanto si
premurava di intrattenere contatti diretti con gli stranieri dopo che gli
stessi giungevano in Italia, ma ne curava personalmente l'accompagnamento nei
luoghi di lavoro.
Ne
discende conclusivamente che occorre ribadire il giudizio di congruità
probatoria espresso dai giudici di merito in ordine alla responsabilità dell'
Am. per l'ipotesi delittuosa ascrittagli in rubrica, conformemente a quanto
affermato dei giudici di appello, secondo cui: "Stante il palese
riferimento fatto da Am.Fr.
non
soltanto alla propria "agenzia" di intermediazione, ma anche ad altre
"agenzie" che si sono occupate dell'arrivo in Italia dei cittadini
stranieri, non c'è dubbio, che tali rapporti hanno unicamente tratto ragione ed
occasione dalla già concordata attività di costante introduzione nel territorio
nazionale di cittadini stranieri da destinare al lavoro".
Queste
ragioni impongono di ritenere inammissibile il secondo motivo del ricorso
proposto da Am.Fr..
5.3.
Quale terzo motivo di ricorso, si eccepiva la violazione di legge, con
riferimento alla dosimetria della sanzione penale irrogata all' Am., tenuto
conto del modesto disvalore delle condotte delittuose ascrittegli, cui si
collegava la censura relativa alla mancata concessione del beneficio della
sospensione condizionale della pena di cui all'art. 163 c.p..
Deve,
in proposito, ribadirsi che gli ambiti illeciti nei quali si inseriva
l'episodio delittuoso contestato al capo L) all' Am.
non
sono controvertibili alla stregua delle evidenze processuali e non consentono
di valutare come modesto o marginale il contributo del ricorrente, che tra
l'altro, non evidenziava segnali di resipiscenza, tali consentire la
formulazione di un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche,
conformemente alle richieste avanzate dalla difesa dell' Am.. Ne consegue che,
in assenza di tali indicatori soggettivi, la corte territoriale riteneva
correttamente di formulare un giudizio di equivalenza tra le aggravanti
contestate all' Am.
e le
attenuanti generiche, sulla base degli elementi oggettivi e soggettivi
riscontrati, compiendo una valutazione adeguata ai sensi dell'art. 133 c.p. ed
affermando che tale giudizio era fondato su una valutazione complessiva della
posizione dell'imputato e del suo comportamento processuale (cfr. Sez. 6, n.
2642 del 14/01/1999, dep. 25/02/1999, Catone, Rv. 12804).
Ne
deriva che, tenuto conto dei parametri richiamati la pena irrogata all' Am.
appare congrua, in considerazione della concessione delle attenuanti generiche,
effettuata mediante un giudizio di equivalenza con le contestate aggravanti.
Non si
ignora, invero, che la concessione del beneficio in oggetto non risponde ad
automatismi sanzionatori, risultando rimessa alla discrezionalità valutativa
del giudice; tuttavia, la correttezza del percorso argomentativo seguito dai
giudici di merito emerge dalla motivazione adottata, che rende inequivocabile
la congruità del giudizio espresso.
Queste
considerazioni inducono a ritenere inammissibile il terzo motivo del ricorso
proposto da Am.Fr..
6.
Occorre, infine, esaminare la posizione di I. M. che, con il ricorso depositato
a mezzo del suo difensore di fiducia, eccepiva due motivi di ricorso.
6.1.
Con il primo motivo di ricorso, innanzitutto, si eccepiva la violazione
dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 286 del
1998, art. 12, commi 3 e 3 bis.
In tale
ambito, inoltre, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett.
b), in relazione agli artt. 69 e 133 c.p..
Deve,
in proposito, rilevarsi, quanto all'inquadramento dell'ipotesi delittuosa
ascritta al capo I) all' I., che su tali profili, già sollevati in sede di
appello e correttamente affrontati dalla corte territoriale, ci si è già
soffermati nei paragrafi 2.1, 3.1 e 4.1, nell'esaminare le posizioni del C.,
dell' A. e del M., ai quali occorre rinviare per l'integrale cognizione degli
ragioni giuridiche che fanno ritenere corretta la configurazione del reato
contestato al ricorrente e impongono di ritenere inammissibile questa
doglianza.
Senza
volere ripercorrere tali complessi argomenti, occorre comunque evidenziare che
la congruità della qualificazione giuridica dei fatti contestati all' I.
discende dalle modalità con le quali il ricorrente realizzava le condotte
delittuose che gli vengono contestate al capo I), attraverso la costituzione di
un apposito ente senza scopo di lucro, grazie al quale implementava i suoi
collegamenti con i Paesi dell'est europeo. Si consideri, in proposito, che,
grazie a tale onlus, denominata "Abacus", il ricorrente sviluppava i
suoi contatti esteri, allo scopo di fare giungere in Italia cittadini stranieri
- formalmente muniti di visto turistico - da destinare allo svolgimento di
attività lavorative, dietro il pagamento di somme di denaro che incassava
personalmente.
Nella
sentenza di appello, a tal proposito, si richiamavano le conversazioni
telefoniche, intercettate nell'arco temporale compreso tra il 16/05/2003 e
l'01/07/2003, il cui contenuto deponeva univocamente nella direzione di fare
ritenere collegati l' I. e il C., che si scambiavano in modo assiduo
informazioni, funzionali alla sistemazione dei cittadini stranieri
nell'immediatezza del loro arrivo in Italia. Il tenore di tali captazioni, al
contempo, consente di affermare - alla stregua di quanto si è già valutato con
riferimento alla posizione del C. nel paragrafo 2.2 di questa sentenza -
l'esistenza di contatti abituali tra la struttura organizzativa del ricorrente
e i canali esteri ai quali ricorreva per il reclutamento dei cittadini
stranieri da immettere sul mercato illecito.
Da
questo punto di vista, è la stessa natura dell'attività illecita svolta dall'
I. per come desumibile dal contenuto delle intercettazioni telefoniche attivate
nel corso delle indagini preliminari - peraltro non contestate in quanto tali
dal difensore del ricorrente - a consentirci di affermare la sussistenza, nel
caso di specie, di tutti gli elementi costituivi della fattispecie di cui al
D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12.
Non v'è
dubbio, infatti che l'espressione "procurare l'ingresso illegale" è
certamente riconducibile alla condotta di coloro i quali - analogamente all' I.
- svolgano una concreta attività di intermediazione tra i canali esteri di
reclutamento dei lavoratori e il mercato del lavoro italiano, rilevando tale
intermediazione quale momento essenziale dell'ingresso in Italia degli
stranieri, a prescindere dal conseguimento dello scopo prefigurato (cfr. Sez.
1, n. 27106 del 16/06/2011, dep. 12/07/2011, Giurato, Rv. 250803).
Non
possono, pertanto, non condividersi le conclusioni raggiunte dai giudici di
appello, secondo cui "il sistematico svolgimento di una siffatta attività
di intermediazione non può non essere sorretto dall'intendimento di conseguire
un'utilità economica e che, in ogni caso, l'imputato, avendo volontariamente
agito in collaborazione con C.D. nella perfetta consapevolezza dello scopo di
lucro perseguito da quest'ultimo, ha res gestae aderito a tale scopo facendolo
proprio".
Queste
ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo di ricorso proposto
da I.M..
6.2.
Quale secondo motivo di ricorso, si eccepiva la violazione di legge, con
riferimento alla dosimetria della sanzione penale irrogata all' I., tenuto
conto del modesto disvalore delle condotte ascrittegli al capo I).
Deve,
in proposito, ribadirsi che gli ambiti sistematici nei quali si inserivano i
comportamenti illeciti ascritti al ricorrente sono incontroversi, alla stregua
delle evidenze processuali che si sono richiamate nel paragrafo precedente e
non consentono di valutare come modesta l'attività di intermediazione con
l'estero svolta dall' I., tenuto conto dei suoi rapporti consolidati con il C.,
di cui si è già detto.
A tutto
questo occorre aggiungere che l'atteggiamento dell' I., a fronte della gravità
delle condotte che gli venivano ascritte, non evidenziava alcun segnale di
resipiscenza processuale, idoneo a consentire la formulazione di
un'attenuazione della pena irrogatagli, peraltro conforme nei due sottostanti
giudizi di merito. Ne consegue che, in assenza di tali indicatori soggettivi,
la corte territoriale riteneva correttamente di formulare un giudizio di
adeguatezza della sanzione penale inflitta all' I. dai giudici di primo grado,
compiendo una valutazione adeguata ai sensi dell'art. 133 c.p. ed affermando
che tale giudizio era fondato su una valutazione congrua della posizione
dell'imputato.
Tenuto
conto di tali parametri ermeneutici la corte territoriale, nel confermare la
pena irrogata all' I. all'esito del giudizio di primo grado, affermava
congruamente: "Quanto alla pena, i primi giudici si sono attenuti ad una
misura congrua ed aderente al disvalore penale dei comportamenti criminosi
tenuti dall'imputato in modo, giova evidenziarlo, affatto occasionale ma
reiterato ed organizzato, sicchè non vi è ragione di ridurre l'irrogata pena,
peraltro non superiore oltre modo rispetto alla misura minima edittale".
Queste
ragioni impongono di ritenere inammissibile il secondo motivo di ricorso
proposto nell'interesse dell' I..
7. Per
queste ragioni, i ricorsi proposti nell'interesse di C.D., A.G., M.G., Am.Fr. e
I.M. devono essere dichiarati inammissibili, con la loro condanna al pagamento
delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di
una somma alla Cassa delle ammende, determinabile, ai sensi dell'art. 616
c.p.p., in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di 1.000,00 Euro alla Cassa
delle ammende.
Così
deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2015.
Depositato
in Cancelleria il 26 marzo 2015