mercoledì 20 aprile 2016

SOLUZIONE PARERE SULLO STATO DI NECESSITA’ E ILLECITA OCCUPAZIONE DI UN BENE IMMOBILE.

SOLUZIONE PARERE SULLO STATO DI NECESSITA’ E ILLECITA OCCUPAZIONE DI UN BENE IMMOBILE.
Cassazione penale, sez. II, ud. 17.10.2014 dep. 24.10.2014, n. 44363

RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano e la A.L.E.R. (Azienda lombarda per l'edilizia residenziale - ex I.A.C.P.) di Milano ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 7.10.2012, che ha confermato la sentenza di primo grado, emessa dal locale Tribunale, con la quale l'imputata H.K.A. è stata assolta dal delitto di occupazione arbitraria di un alloggio popolare perchè il fatto non costituisce reato, in quanto commesso in stato di necessità (all'epoca della occupazione dell'alloggio l'imputata risultava essere in stato di gravidanza a rischio e per di più affetta da HIV).
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano deduce la inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 54 cod. pen.;
deduce, in particolare, che non sussisterebbero i presupposti per l'applicazione della scriminante dell'aver agito in stato di necessità, perchè: 1) non risulterebbe che l'imputata si è attivata per pretendere dal padre dei suoi figli il contributo al mantenimento degli stessi in modo da potersi procurare un alloggio;
2) non risulterebbe che l'imputata si è attivata per cercare una soluzione abitativa proporzionata alle sue possibilità economiche, considerato che risulta che la stessa lavorava stabilmente; 3) in ogni caso, mancherebbe l'attualità del pericolo, in quanto la condotta della imputata si è protratta sine titulo per un notevole arco temporale, a partire dall'ottobre 2003.
La A.L.E.R. deduce l'erronea applicazione degli artt. 54 e 633 cod. pen., per avere i giudici di merito riconosciuto all'imputata la causa di giustificazione dello stato di necessità, pur in assenza del pericolo di danno grave alla persona (in realtà l'imputata si sarebbe trovata solo in uno stato di bisogno abitativo), della sua inevitabilità e, soprattutto, della sua attualità, tenuto conto che la condotta della imputata perdura da oltre dieci anni (dall'ottobre 2003 a tutt'oggi) e non potrebbe ammettersi che la prevenuta occupi indefinitivamente l'immobile, sottraendolo agli altri aventi diritto e vivendo di fatto alle spalle della collettività.
DIRITTO
I ricorsi non sono fondati. Questa Corte, come è noto, ha ripetutamente avuto modo di sottolineare che, ai fini della esimente dello stato di necessità, occorre che l'azione delittuosa sia commessa per evitare un pericolo che abbia - come testualmente richiede l'art. 54 cod. pen. - il carattere della attualità, dal momento che, come è logico, in assenza di un nesso di corrispondenza cronologica tra elemento giustificante e condotta giustificata, si elide la stessa ratio essendi della causa di non punibilità, imponderabili essendo le numerose alternative prefigurabili al fine di fronteggiare e dissolvere un pericolo soltanto futuro ed eventuale. Il requisito della attualità postula, a sua volta, anzitutto che il pericolo sia presente quando il soggetto agisce e che sia imminente il danno che ne possa derivare, ma, appunto per tale ragione, implica anche che si tratti di un pericolo che nel momento in cui il fatto venga compiuto sia già individuato e circoscritto, e cioè precisamente delineato nel suo contenuto e oggetto, nonchè nei suoi effetti. Di conseguenza, non è sufficiente che l'azione delittuosa venga attuata nell'aspettativa che possano essere evitati pericoli che non abbiano tali connotati e che siano, invece, in concreto meramente eventuali e futuri, possibili o anche solo probabili. Al contrario, ai fini della applicazione della causa di giustificazione, occorre un preciso e indefettibile collegamento causale tra la necessità di sacrificare un interesse penalmente protetto e lo scopo di evitare uno specifico e determinato pericolo;
sicchè, l'agente può andare esente da pena soltanto quando il suo comportamento, che altrimenti costituirebbe una offesa criminosa, sia stato causato dalla necessità urgente di evitare un pericolo del genere indicato e, con esso, un danno grave alla persona, già ben individuato all'atto stesso in cui agisce.
D'altra parte, ed a prescindere dalla varietà delle impostazioni dottrinarie che si sono soffermate sul punto, non pare azzardato scorgere, al fondo della natura della scriminante in parola, un forte richiamo verso il principio solidaristico che informa l'intera platea dei valori costituzionali - e con essa il necessario bilanciamento tra gli stessi - come peraltro traspare dai connotati di non illiceità che caratterizzano la condotta necessitata, al punto che l'art. 2054 cod. civ. prevede, con riferimento ai pregiudizi subiti dal terzo, esclusivamente un indennizzo (istituto tipico del "rischio solidaristico") e non il risarcimento del danno.
Per altro verso, va pure rammentato che la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata nel ritenere che, ai fini del riconoscimento dell'esimente dello stato di necessità, nel concetto di danno grave alla persona, secondo la formulazione dell'art. 54 cod. pen., rientrano anche situazioni che pongono in pericolo solo indirettamente l'integrità fisica, in quanto attentano alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali deve essere ricompresa anche l'esigenza di un alloggio. Tale interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona, mediante l'inclusione dei diritti inviolabili, impone però - si è pure sottolineato - una più attenta e penetrante indagine giudiziaria, diretta a circoscrivere la sfera di azione della esimente ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità ed della inevitabilità del pericolo, tenuto conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi, involontariamente coinvolti, diritti che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate. (Nella specie è stata confermata la decisione di merito che aveva ritenuto configurabile l'esimente in relazione all'occupazione arbitraria di un alloggio di proprietà dello IACP, in quanto l'imputata, dopo un litigio con il marito, con il quale condivideva un alloggio insalubre, si era trovata con la propria figlioletta priva di riparo, in una situazione così grave ed eccezionale che l'amministrazione comunale del luogo aveva poi requisito l'appartamento per destinarlo a residenza temporanea del nucleo familiare della donna). (Sez. 2, n. 24290 del 19/03/2003 - dep. 04/06/2003, PG in proc. Bocchino, Rv. 225447).
Al riguardo, va infatti rammentato che la Corte costituzionale ha in più occasioni avuto modo di sottolineare che "le finalità proprie dell'edilizia residenziale pubblica sono quelle di garantire un'abitazione a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi (sentenza n. 176 del 2000), al fine di assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti (art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea), mediante un servizio pubblico deputato alla provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti (sentenze n. 417 del 1994, n. 347 del 1993, n. 486 del 1992). Dal complesso delle disposizioni costituzionali relative al rispetto della persona umana, della sua dignità e delle condizioni minime di convivenza civile, emerge, infatti, con chiarezza che l'esigenza dell'abitazione assume i connotati di una pretesa volta a soddisfare un bisogno sociale ineludibile, un interesse protetto, cui l'ordinamento deve dare adeguata soddisfazione, anche se nei limiti della disponibilità delle risorse finanziarie. Per tale motivo, l'accesso all'edilizia residenziale pubblica è assoggettato ad una serie di condizioni relative, tra l'altro, ai requisiti degli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica, quali, ad esempio, il basso reddito familiare (sentenza n. 121 del 1996) e l'assenza di titolarità del diritto di proprietà o di diritti reali di godimento su di un immobile adeguato alle esigenze abitative del nucleo familiare dell'assegnatario stesso, requisiti sintomatici di una situazione di reale bisogno" (v., da ultimo, Coste cost., sentenza n. 168 del 2014).
In tale quadro di riferimento, dunque, deve anche iscriversi il "bilanciamento" tra le situazioni di pregnanza concreta del "pericolo" per la persona, la sua portata dirimente sul piano della volontà e delle possibili scelte alternative della condotta e, di conseguenza, la individuazione dei concreti confini applicativi della scriminante, non senza sottolineare come - proprio nella prospettiva di equilibrata commisurazione dei contrapposti valori che vengono coinvolti - assuma specifico risalto, per l'appunto, il connotato del "pericolo attuale", in riferimento ad una fattispecie criminosa che, come quella di arbitraria invasione di edificio per uso abitativo, si caratterizza per la diuturnitas della relativa condotta occupativa (si è affermato, infatti, che il delitto di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 cod. pen. è di natura permanente, dato il protrarsi nel tempo dell'occupazione del fondo; la permanenza cessa con la pronuncia giudiziale di primo grado. (Sez. 1, n. 29362 del 21/06/2001 - dep. 19/07/2001, Confl. comp. in proc. Licciardello, Rv. 219480).
Ebbene, i principi affermati al riguardo da questa Corte sono noti e rievocati, anche, dagli stessi giudici a quibus: si è infatti reiteratamente puntualizzato che l'illecita occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere, oltre che in lesioni della vita o dell'integrità fisica, nella compromissione di un diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo, (ex plurimis, Sez. 2, n. 8724 del 11/02/2011 - dep. 04/03/2011, Essaki, Rv. 249915; Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012, Rv. 253035; Sez. 2, n. 19147 del 16/04/2013).
Contrariamente all'assunto dei ricorrenti, di tali principi i giudici del merito hanno fatto senz'altro buongoverno, dal momento che le condizioni in cui versava la imputata all'atto della occupazione, e che si sono protratte nel tempo, presentavano - in termini del tutto inequivoci - i connotati del pericolo attuale di danno grave alla persona non altrimenti evitabile, che la scriminante richiede per l'applicazione della causa di non punibilità. Come già sottolineato dal primo giudice, infatti, l'imputata, cittadina extracomunitaria, all'atto della occupazione dell'alloggio risultava in condizioni di salute assai precarie, in quanto sieropositiva, e per di più con gravidanza a rischio, tanto da aver partorito prima del termine; alla prima gravidanza ne era posi succeduta una seconda, con evidente incremento delle condizioni di profondo disagio, derivanti, anche, dalla circostanza che non riceveva alcun tipo di ausilio, da familiari o da terzi, tra l'altro a cagione delle difficoltà connesse alla malattia ed al pericolo di contagio. Il tutto, in presenza di condizioni reddituali del tutto precarie, dipendenti dal fatto che la sua retribuzione come parrucchiera ammontava ad Euro 732 mensili e che nel tempo l'attività lavorativa aveva assunto caratteri di saltuarietà.
A fronte di tale quadro di riferimento, le contestazioni dei ricorrenti finiscono in larga misura per attingere null'altro che ad una rivalutazione circa il "contenuto fattuale" della pregnanza del "pericolo" e della sua relativa attualità, senza peraltro porre in luce elementi davvero "critici" che possano aver infirmato l'apprezzamento condotto nei due gradi di merito, al contrario concordi nel porre in luce tanto la intensità e la perduranza nel tempo delle condizioni di assoluta precarietà in cui era costretto a vivere l'intero nucleo familiare della imputata - che solo sulla stessa poteva contare - quanto la sostanziale "adeguatezza" e "proporzionalità" della condotta illecita rispetto al "pericolo", avendo fra l'altro posto in luce il paradosso rappresentato dal fatto che la medesima imputata, pur avendo titolo a concorrere per la concessione dell'alloggio, si era vista "discriminata" per la condotta di occupazione abusiva, malgrado la stessa fosse da ritenersi a sua volta "scriminata" per lo stato di necessità.
I ricorsi devono pertanto essere entrambi respinti e la parte civile va condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
 Rigetta i ricorsi e condanna la parte civile al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2014










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